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Amleto e la figura del melanconico nella drammaturgia elisabettiana

Il lavoro che qui si presenta nasce con l’intento di esporre il forte legame che la drammaturgia del periodo elisabettiano stringe con l’antico umore melanconico, scoprendo nell’opera teatrale di Shakespeare, Hamlet, una rivelazione concreta di tale vincolo profondo.
Per fare luce sul passato di un elemento che come quello umorale, rimane distante dalle conoscenze scientifico – letterarie odierne, ho trattato nella prima parte del lavoro di quella doppia specificità che da sempre viene attribuita come innata alla melanconia: le due tradizioni risalenti una a Galeno e l’altra ad Aristotele, contrastanti e contemporanee, propongono la base delle argomentazioni scientifico – poetiche che verranno poi elaborate nel Medioevo dell’impero romano orientale e occidentale, convogliando i significati nel potente peccato capitale dell’acedia. Sarà poi l’Umanesimo che opererà nella rinascita più complessa della dualità melanconica, svelando nel carattere bilioso l’elemento sublime della creazione artistica, questo grazie anche alla frequenza con cui il termine entra a far parte del vocabolario quotidiano prima e poetico poi. Lentamente da eccelsa ed elitaria distinzione, l’accento melanconico diviene una posa di grande voga, che dall’Italia, centro di fioritura, si disperde per l’Europa colta e raffinata.
L’Inghilterra elabora a suo piacimento la trattazione umorale nelle innumerevoli ‘anatomie’ dell’animo umano, opponendo alle sicurezze scientifiche ciò che sembrava un elemento di forte turbamento emozionale: la nota speciale posseduta dalla melanconia la elegge a caratteristica distintiva di alcuni spiriti, e come una dolce epidemia, si diffonde sul suolo inglese moltiplicandosi in una serie di affettazioni che l’opera drammaturgica definisce nel dettaglio.
La folle genialità della melanconia si incarna in alcuni particolari caratteri di un individuo che la società elisabettiana trasporta poi in tipologie definite su quel palcoscenico che l’estro adombrato dell’eroe danese raccoglie; Shakespeare elabora l’azione drammatica di Amleto usufruendo della docilità che l’umore melanconico mette a disposizione.
La trattazione che si confronta con l’eroe danese di Shakespeare, tenta in principio di svelare l’esistenza di una possibile intonazione melanconica nella figura leggendaria da cui il drammaturgo sembra abbia preso spunto, per confrontare le eventualità di convergenze e dissonanze. Il fondamentale contrappunto tra il ritmo melanconico e la melodia di Amleto sembra convogliare in due motivi distinti: una cadenza che rimane in superficie e si definisce attraverso gli oggetti, le espressioni, le vesti e le maschere del principe; un battito più profondo che si mostra nel gioco continuo di scambi tra ciò che appare e ciò che realmente è. Queste due frequenze vivono unicamente supportate dall’azione drammatica che rende possibile il loro prezioso intreccio.

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4 Introduzione I principali soggetti di questa ricerca, la figura drammatica del principe danese Amleto e l’umore melanconico, presentano in modi differenti la medesima complessità di significato, una complessità connaturata alla loro essenza, che rende difficoltoso il percorso per raggiungere la loro intima profondità. Questa esposizione vuole cercare di capire se esista un movimento che leghi insieme i due fattori all’interno dell’opera drammatica di Shakespeare. Il momento storico sembra creare il contesto perfetto per l’unione di entrambi i termini: la folle genialità della melanconia si incarna in alcuni particolari caratteri di un individuo che la società elisabettiana trasporta poi in tipologie definite su quel palcoscenico che l’estro adombrato dell’eroe danese raccoglie; Shakespeare elabora l’azione drammatica di Amleto usufruendo della docilità che l’umore melanconico mette a disposizione. Per fare luce sul passato di un elemento che come quello umorale, rimane distante dalla conoscenze scientifico – letterarie odierne, ho trattato nella prima parte del lavoro di quella doppia specificità che da sempre viene attribuita come innata alla melanconia: le due tradizioni antiche contrastanti e contemporanee propongono la base delle argomentazioni scientifico – poetiche che verranno poi elaborate nel Medioevo dell’impero romano orientale e occidentale, convogliando i significati nel potente peccato capitale dell’acedia. Sarà poi l’Umanesimo che opererà nella rinascita più complessa della dualità melanconica, svelando nel carattere bilioso l’elemento sublime della creazione artistica, questo grazie anche alla frequenza con cui il termine entra a far parte del vocabolario quotidiano prima e poetico poi. Lentamente da eccelsa ed elitaria distinzione, l’accento melanconico diviene una posa di grande voga, che dall’Italia, centro di fioritura, si disperde per l’Europa colta e raffinata. L’Inghilterra elabora a suo piacimento la trattazione umorale, proponendo nelle innumerevoli ‘anatomie’ dell’animo umano, le sicurezze scientifiche a quello che sembrava un elemento di forte turbamento emozionale: la nota speciale posseduta della melanconia la elegge a caratteristica distintiva di alcuni spiriti e come una dolce epidemia, si diffonde sul suolo inglese moltiplicandosi in una serie di affettazioni che l’opera drammaturgica definisce nel dettaglio.

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