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Gli effetti della innovazione finanziaria sul mercato del vino: il caso italiano.

Da diversi anni il settore vitivinicolo in Italia ha saputo guadagnarsi l’attenzione non solo dei sempre più numerosi consumatori ma anche del mondo economico-finanziario, che ha iniziato a riconoscere nello stesso un ottimo field su cui operare. Il vino ha completato la sua transizione da vino “da bere” a vino “da apprezzare e degustare”, ed è sinonimo di un nuovo, riconquistato stile di vita. L’interesse del mondo finanziario per tale settore è testimoniato dalla cosiddetta vendita en primeur, orientata a finanziare l’invecchiamento dei vini di maggior pregio, ed anche dalla creazione di strumenti finanziari mutuati da altri contesti ed adattati alla filiera vino, come i futures, o i prestiti obbligazionari cum warrant. L’obiettivo di creare ricchezza è la direzione verso la quale stanno convergendo il mondo del vino e della finanza. Il vino, non più semplice bene di consumo, sta diventando uno strumento sul quale investire con dei risultati in termini di rendimento interessanti. Il prodotto vino presenta molte delle caratteristiche delle “commodities” dell’agricoltura, alcune delle caratteristiche dei prodotti di consumo di massa con marchio ed alcune caratteristiche dei beni di lusso. La differente fascia di posizionamento del prodotto in base al tipo di denominazione genera parallelamente, margini e quindi ritorni sul capitale sensibilmente diversi tra loro. Uno degli elementi di criticità per la formazione dei margini è rappresentato dal costo della terra. Quest’ultima, infatti, è un elemento chiave per la determinazione dei ritorni sul capitale. La terra del “Vecchio Mondo”, ad esempio, ha costi proibitivi per la maggior parte degli operatori risultando dunque disincentivante. Ecco che in tale situazione, l’outsourcing per la produzione delle uve diventa una chiave strategica da sfruttare per ottenere migliori profitti. Un’altra chiave di successo è connessa agli impianti di produzione. Negli ultimi anni, il settore è stato rivoluzionato dall’ingresso di nuovi prodotti immessi sul mercato da operatori esteri, in particolar modo australiani. I nuovi competitors utilizzano impianti di produzione moderni e ad alta densità, cioè impianti che a parità di resa per pianta, e quindi di qualità del vino, garantiscono rese più alte per ettaro. Questo fa sì che i costi di produzione e di commercializzazione diminuiscono drasticamente, aumentando d’altra parte il livello di concorrenza del settore su scala mondiale . Infine gli altri costi d’entità rilevante sono rappresentati dalle scorte, dalle botti e dal packaging ed inoltre l’invecchiamento del vino, in particolare quello dei vini di pregio, rappresenta un processo oneroso che implica un forte investimento in capitale immobilizzato i cui ritorni sono di difficile ed incerta qualificazione. Da uno studio effettuato da Deloitte & Touche Corporate Finance su un campione di 52 società, selezionate sulla base della dimensione e della notorietà delle aziende operanti a livello nazionale e rappresentative di circa il 30% del valore totale del mercato italiano 2001 emerge un approccio sempre più manageriale da parte degli operatori e la necessità di dotarsi di un programma strategico di sviluppo nel lungo periodo e la maggior apertura degli stessi a sviluppare progetti di aggregazione e crescita delle proprie attività. Uno degli elementi del mercato italiano è la polverizzazione delle imprese che agisce come una zavorra del sistema. La via intrapresa dagli operatori italiani è quella di un’embrionale, ma progressiva tendenza alla concentrazione. Tale trend è invece in fase molto più avanzata a livello internazionale. L’analisi svolta da DTCF evidenzia sul fronte dei ricavi come la crescita del fatturato negli anni sia imputabile prevalentemente all’incremento del segmento dei vini di pregio ed all’aumento generale dei prezzi. Il trend dell’export vinicolo, anche se i primi segnali mostrano un accenno di flessione nel primo semestre del 2003, fino al 2002 è risultato essere in controtendenza rispetto alla dinamica del made in Italy in generale che registra non poche difficoltà nella presente fase congiunturale dell’economia internazionale . Focalizzando l’attenzione sulle caratteristiche dell’investimento nel settore vinicolo è indispensabile un supporto specifico da parte del mondo della finanza, in funzione sia delle esigenze di investimento delle imprese sia delle opportunità che possono essere rese disponibili agli investitori. Infatti le imprese da un lato sono caratterizzate da lunghi periodi di ritorno dell’investimento, specie per le produzioni di pregio e forti investimenti in capitale immobilizzato. Gli investitori dall’altro lato hanno l’incertezza sulla qualità del risultato finale, ma possibilità di ritorni elevati nel medio-lungo periodo.

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1 Introduzione Da diversi anni il settore vitivinicolo in Italia ha saputo guadagnarsi l’attenzione non solo dei sempre più numerosi consumatori ma anche del mondo economico- finanziario, che ha iniziato a riconoscere nello stesso un ottimo field su cui operare. Il vino ha completato la sua transizione da vino “da bere” a vino “da apprezzare e degustare”, ed è sinonimo di un nuovo, riconquistato stile di vita. L’interesse del mondo finanziario per tale settore è testimoniato dalla cosiddetta vendita en primeur, orientata a finanziare l’invecchiamento dei vini di maggior pregio, ed anche dalla creazione di strumenti finanziari mutuati da altri contesti ed adattati alla filiera vino, come i futures, o i prestiti obbligazionari cum warrant. L’obiettivo di creare ricchezza è la direzione verso la quale stanno convergendo il mondo del vino e della finanza. Il vino, non più semplice bene di consumo, sta diventando uno strumento sul quale investire con dei risultati in termini di rendimento interessanti. Il prodotto vino presenta molte delle caratteristiche delle “commodities” dell’agricoltura, alcune delle caratteristiche dei prodotti di consumo di massa con marchio ed alcune caratteristiche dei beni di lusso. La differente fascia di posizionamento del prodotto in base al tipo di denominazione genera parallelamente, margini e quindi ritorni sul capitale sensibilmente diversi tra loro. Uno degli elementi di criticità per la formazione dei margini è rappresentato dal costo della terra. Quest’ultima, infatti, è un elemento chiave per la determinazione dei ritorni sul capitale. La terra del “Vecchio Mondo”, ad esempio, ha costi proibitivi per la maggior parte degli operatori risultando dunque disincentivante. Ecco che in tale situazione,

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