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Note di carta: sulla comunicazione della musica colta in Italia

«Note di carta, sulla comunicazione della musica colta» è un lavoro di indagine sull’evoluzione delle teorie e delle pratiche comunicative adottate nel campo della musica colta.
La suddivisione del lavoro in quattro capitoli, segue le indicazioni emerse mano a mano che il lavoro prendeva forma ed è quindi più uno sviluppo empirico dei contenuti proposti che non una struttura predisposta ad accoglierli.
In effetti il periodo impiegato a raccogliere interviste, informazioni e, soprattutto, dati ha fatto sì che la prospettiva cambiasse con il trascorrere del tempo, fino a mutare sostanzialmente l’ipotesi iniziale che era alla base di questo impegno. Quel dato calante di interesse e affezione del pubblico, soprattutto giovanile, nei confronti della musica colta, assumeva sempre più contorni sfumati ogni volta che dati aggiornati sostituivano quelli in mio possesso. Così fino a dover ricredersi sulla tendenza annunciata e verificare un trend di interesse crescente nei confronti di questo tipo di musica.
Dopo la definizione quindi di “musica colta”, è sembrato indispensabile chiarire gli approcci e la metodologia che hanno guidato questa indagine. Seguendo lo sviluppo delle teorie e delle tecniche comunicative si è andati concentrandosi verso la comunicazione culturale cercando di illustrarne il più possibile, e con più chiarezza possibile, le caratteristiche, senza tuttavia inseguire chimere di esaustività dimostratesi irraggiungibili.
Volendo poi sottrarre all’unicità dell’approccio teorico lo sviluppo della tesi contenuta nel lavoro, e a questo punto (siamo la terzo capitolo) divenuta improcrastinabile, ho scelto di sottoporre tre casi concreti di imprese culturali, che svolgono in maniera diversa i loro compiti di comunicazione, alla griglia interpretativa derivata dalla teoria fin lì esposta. A fine capitolo mi sono sentito di proporre un’ipotesi concreta capace di coniugare la comunicazione e il marketing a un operazione commerciale tutta tesa a definire nuove modalità d’approccio verso il pubblico (target da 17 a 70 anni) anche totalmente estraneo alla musica colta.
Il capitolo ultimo si è autonomamente dissepolto dall’ansia delle conclusioni. Col completarsi delle riflessioni sul comportamento dei media riguardo la critica musicale, e la comunicazione culturale più in generale, è divenuto chiaro che di conclusioni non si trattasse ma, semmai, della solita operazione di presa d’atto del contingente e di proposizioni per il miglioramento dello stesso. Così questo lavoro termina col capitolo «Per non concludere…» che contiene alla sua fine un dettagliato progetto per la rivalutazione della critica musicale come professione e “missione”.

I dati citati, riportati e utilizzati per lo sviluppo di questa tesi sono stati raccolti dall’ottobre 2002 fino al 10 agosto 2003 da varie fonti fra cui:

• Istat Roma- (contatti telefonici e via email e prelevamento dati dal sito internet;
• Adhoc Milano– Studi e ricerche per il marketing (contatti telefonici, di persona e via fax);
• Ricordimediastores Milano – (contatti telefonici e di persona);
• Uffici Stampa di Accademia Chigiana di Siena, Accademia di Santa Cecilia di Roma, Festival Pucciniano di Torre del Lago (Viareggio), Teatro Regio di Torino;
• Regione Toscana, Firenze (contatti personali e telefonici, via email e via fax).

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“NOTE DI CARTA” sulla comunicazione della musica colta in Italia Capitolo I – La definizione di «musica colta»: un tentativo soltanto abbozzato. Il ricorso ai generi della «musica classica» e «musica operi- stica»: una banalizzazione indispensabile. Trovare una definizione capace di indicare in modo esaustivo la musica colta è cosa a dir poco difficile, quando non impossibile. Tutti i tentativi fatti finora sono stati piegati dall’insopprimibile tendenza del tempo a trasformare le cose e all’intrinseca mutabilità dei criteri valutativi di un fenomeno artistico quale quello musicale tout-court. Che non ci fosse nemmeno bisogno di impegnarsi troppo a distinguere tra musi- ca colta e leggera (intendendo tutto il resto dello scibile musicale) lo sosteneva a gran voce Gillo Dorfles (1965): «Nulla accomuna le canzonette degli urlatori (e del resto neanche gli spirituals o i gospels dei neri 1 ) con la musica “seria” dei nostri giorni» e ancora: «Tra un Boulez, uno Stockhausen, un Berio, un Nono e le canzoni cantate da Rita Pavone, da Celentano, da Bobby Solo non c’è nessun punto di contatto». «La differenza tra musica popolare e musica colta sta nella scrittura.», afferma l’etnomusicologo Roberto Leydi (1991) precisando meglio che: «La scelta scritta ha caricato di un significato totalizzante il documento notato che, di conseguen- za, ha finito per assumere una posizione quasi autonoma rispetto ai processi re- ali della creatività musicale». È chiaro però che una definizione del genere ha subito in questi ultimi anni un rapido processo di obsolescenza. La sua parzialità è oggi, a distanza di poco più dei dieci anni trascorsi dalla sua prima utilizzazio- ne, immediatamente evidente, anche solo pensando ai progressi compiuti dalla scolarizzazione in ambito formativo e dalla specializzazione nell’ambito lavorati- vo, che hanno imposto la forma scritta anche a generi come il jazz, o la musica popolare e leggera. Forse si può osare nei confronti del Jazz e delle musiche - 1 - 1 negri, nel testo originale. Tesi di Laurea di Davide Toschi, matr. 670500576 iscritto alla Facoltà di Lettere, Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione dell’Università degli Studi di Siena

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Parole chiave

consumi culturali
consumi giovanili
consumi musicali
cultura
cultura musicale
editoria musicale
musica
musica colta
comunicazione culturale
marketing della cultura
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