Essere del linguaggio e scomparsa del soggetto. Il linguaggio letterario in Michel Foucault
Gli interventi di Michel Foucault nel campo del linguaggio letterario, numerosi e appartenenti per intero al decennio 1961-1970, possono essere riportati, nonostante la varietà delle occasioni e la grande ricchezza dei temi, a quella concezione - definibile come dell'autonomia del linguaggio - la quale raggiunge la sua più compiuta espressione con ''L'archeologia del sapere'' e ''L'ordine del discorso'', ma che affonda le sue radici in ''Le parole e le cose''.
Un aspetto essenziale di tale concezione è la problematizzazione del rapporto tra linguaggio e soggetto: se per Foucault il soggetto dell'enunciato non è più la sua origine unica e assoluta, ma una funzione rivestibile da una molteplicità di individui, ciò è vero a maggior ragione per il discorso letterario quale si è costituito negli ultimi due secoli. Le unità artificiali dell'Autore e dell'Opera non riescono a mascherare la proliferazione inarrestabile di frammenti di linguaggio privi ormai di un soggetto unitario e di positivi oggetti di riferimento. Frammenti che instaurano relazioni direttamente tra loro, nello spazio che Foucault (con Blanchot) chiama del Fuori. Il Fuori è il luogo all'esterno della coscienza razionale dove trovano cittadinanza esperienze come la follia, la trasgressione, la morte.
Con la letteratura moderna il linguaggio afferma la sua irriducibilità al pensiero, l'impossibilità di fungere da pura traduzione delle rappresentazioni della coscienza. Il linguaggio letterario funziona, parla, secondo proprie leggi che non escludono la casualità e l'ambiguità. C'è qualcosa di non pensato, di estraneo all'io, un nucleo di silenzio che agisce nel linguaggio, e questo qualcosa è lo spessore stesso delle parole. Il moderno linguaggio letterario è secondo Foucault, al pari della follia, un linguaggio doppio che si autoimplica, ovvero che enuncia, in se stesso, la propria chiave. Autoimplicazione che equivale a non dire, in senso stretto, alcunché, ma che può racchiudere tuttavia, nel suo movimento circolare, qualsiasi significato.
La letteratura è dunque la Biblioteca di Borges, è la rete che ipotizza Foucault in cui i libri intrecciano rapporti con i libri, le parole rimandano ad altre parole, incuranti addirittura della direzione del tempo. Il discorso letterario è linguaggio anonimo, disperso, plurale: mormorio senza autore in cui si mostra l'essere stesso del linguaggio. Per Foucault l'essere del linguaggio ha a che fare per l'appunto con la sua potenziale simultanea indipendenza e dal soggetto parlante e dagli oggetti designati. La materialità del linguaggio (la parte di casualità legata agli accidenti della sua apparizione) e la limitatezza delle parole che ne favorisce l'ambiguità fondamentale, aprono al linguaggio letterario un infinito spazio di possibilità, di significati nuovi e inaspettati in cui ciò che brilla non è più la parola di Dio, nè quella dell'uomo, ma il linguaggio stesso.
Questo punto di vista, in cui si può cogliere la chiamata in causa del linguaggio come problema di fondamentale rilevanza filosofica, se per alcuni critici verrà in seguito superato da Foucault, è d'altra parte in maniera evidente intimamente legato a quella messa in discussione del soggetto che Foucault stesso riconosce come il cardine di tutta la propria opera, nonché al problema della verità e dunque alla questione del potere (la verità è un effetto di potere, gli avvenimenti discorsivi sono l'oggetto di rapporti di forza, e non di senso). E' quindi lecito pensare che tale posizione sul linguaggio non sia da contrapporre ai temi ed alle conclusioni delle successive ricerche foucaultiane.
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Informazioni tesi
Autore: | Leonardo Meo |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 1990-91 |
Università: | Università degli Studi di Padova |
Facoltà: | Magistero |
Corso: | Psicologia |
Relatore: | Lorenzo Accame |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 100 |
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