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Esperienze di teatro e terapia in Italia dal 1990 al 2002

Nell’ultimo decennio, a causa dell’emergere, all’inizio degli anni Ottanta, di psicoterapie a mediazione artistica (denominate artiterapie), anche il mondo accademico italiano ha iniziato a interrogarsi sull’efficacia dell’introduzione e utilizzo di tecniche artistiche (pittura, musica, teatro, danza) nell’ambito terapeutico e riabilitativo.
Attraverso i training adottati e le metodologie proposte, l’arte teatrale del Novecento è arrivata a proporre un lavoro, una vera e propria ricerca umana e spirituale, che unisce corpo e mente dell’attore, lavoro fisico e mentale, sino a modificare e ri-formare l’identità di chi vi si sottopone. Se il teatro cambia l’attore, ci si può ragionevolmente chiedere se alcune modalità e caratteristiche dei training attoriali adottati abbiano risvolti e impatti sociali e di ri-modellamento della personalità, sino al conseguimento di veri e propri risultati terapeutici, se applicati in contesti di disagio sociale o di cura clinica rivolta a problematiche psichiche.

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1 1. Teatro e terapia: una panoramica italiana .1 Introduzione e precisazioni Con quanto segue, s’intende dare una panoramica esemplificativa, ma che non potrà considerarsi esaustiva, a causa dell’estrema varietà e quantità delle esperienze emerse nella mia ricerca. I confini tra l’intenzionalità terapeutica di un approccio artistico e utilizzo dell’espressione artistica come mezzo di comunicazione alternativo alla terapia verbale sono labili e sfumati, come emerge chiaramente dai successivi paragrafi. Negli ultimi dieci anni, l’Italia ha offerto un panorama estremamente differenziato e variegato, sorto sicuramente anche a causa della mancanza di ufficializzazione di figure terapeutiche nell’ambito delle artiterapie in generale, e dell’arte teatrale nel particolare. Mancano inoltre in Italia oltre ad adeguati standard in merito alle figure professionali, centri e strutture stabili ed ufficializzate dove richiedere servizi terapeutici a mediazione artistica. Il risultato di tale stato di fatto, ha portato gli operatori interessati al fenomeno a farsi promotori di esperienze e proposte formulate alla collettività e alle istituzioni stesse. Nel corso della mia ricerca, dai contatti e dagli scambi di opinioni avuti con operatori e operatrici del settore, ho potuto costatare che l’alto grado di varietà e sperimentazione sorto attorno al connubio “teatro e terapia” è visto da taluni come testimonianza di un panorama vivo e ricco di spunti di cambiamento. Una censura esterna e autoritaria, riferiscono alcuni operatori, non lascerebbe spazio a esperienze tanto diverse, ma le immiserirebbe irrimediabilmente in standard burocratici, dimenticando i legami affettivi e i contesti sociali in cui tali sperimentazioni sono sorte. Altri operatori e operatici da me contattati, osservano la situazione appena descritta con una certa preoccupazione. Si addita alla disomogeneità e frammentazione dell’esperienza nazionale come causa della scarsa affidabilità che terapie riabilitative e terapeutiche a mediazione teatrale hanno avuto in passato e continuano tuttora ad avere. A fronte di grandi successi artistici, quali quelli raggiunti dalla Compagnia della Fortezza o dalla Cooperativa “Arte e Salute”, fondata dal regista Nanni Garella, secondo alcuni operatori continua a esistere una generale diffidenza nell’efficacia di un percorso a mediazione teatrale con finalità strettamente terapeutiche. Lo strano, il “diverso” insomma, sembrano suggerire, è ancora accettato dalla comunità sociale e talvolta dalle stesse istituzioni se mostra sul palcoscenico le proprie ‘diverse’ capacità e ‘disabilità’. La presenza di un corpo e di un linguaggio diverso, distorto, metterebbe in discussione la nozione di ‘normalità’ precostituita e darebbe forza ed efficacia ai gesti del paziente-attore e alle emozioni dello stesso spettatore che si trova ad assistere alla performance. A tale proposito, si ricordano in questa sede e più diffusamente in

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