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Potere, stato e diritti in Michel Foucault

Il mio lavoro di tesi su Michel Foucault si presenta come una ricognizione storiografica che deve il suo inizio alla impossibilità di fruire di una interpretazione unitaria del filosofo francese, di certo una delle figure culturali più affascinanti del Novecento, ma anche una delle più ambigue e maltrattate. Leggendo alcune sue prese di posizione, infatti, rimane spesso un senso di smarrimento, sia perché le sue parole cedono di frequente al gusto di una raffinata provocazione, sia perché a volte sono in tensione con le azioni concrete della biografia.
Ecco allora che sorge il desiderio di capire meglio questo strano personaggio dai mille volti e colori: come scegliere tra chi ne ha fatto un inossidabile militante del dissenso e chi, al contrario, ha visto in lui il profilo di uno scettico che non crede nemmeno a quello che dice, ma dice e fa solo per sete di denaro? Come scegliere tra chi lo ha collocato a Sinistra (tra i Maoisti, i Marxisti, i Comunisti…) e chi ha cercato invece di cogliere la rigidità di ogni possibile collocazione, ricordando che Foucault da un lato aveva stracciato la tessera del Partito Comunista Francese, e dall’altro, ad un certo punto, aveva pure rivalutato, e invitato a studiare, il liberalismo?
Sullo sfondo di simili interrogativi e nell’ambizioso progetto di fare chiarezza sul pensiero più segreto di Foucault, la mia tesi si muove considerando come centrale lo snodo problematico dei rapporti tra potere e diritto nel tempo del presente: dal rifiuto di un diritto al singolare imposto da un potere microfisico che occupa il ruolo del nemico, si passerà al doveroso riconoscimento di un orizzonte plurale dei diritti, di fronte al quale il potere non può che porsi come un irrinunciabile interlocutore.
Al lettore il piacere di giudicare se si tratta di una imbarazzante contraddizione, di una svolta politica improvvisa oppure di una scelta, dal punto di vista teorico, perfettamente in linea con l’evoluzione del pensiero di Foucault tra gli anni Settanta e Ottanta.

S.R.
Pavia, 26 novembre 2002

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3 INTRODUZIONE: UNA “STORIA DEL PRESENTE” Avviare uno studio su Michel Foucault potrebbe sembrare ad alcuni una inutile perdita di tempo, uno sterile esercizio di interpretazione di temi e problemi già troppo noti alla comunità degli studiosi, perché più volte ripresi, analizzati e commentati nel corso degli ultimi vent’anni. Dalla morte del filosofo 1 molte ricerche sono apparse, anche se non tutte possono dirsi leali nel loro tentativo di ricostruire una figura che resta senza dubbio enigmatica: del resto era già lo stesso Foucault a lamentarsi dei pregiudizi di cui la sua opera cadeva vittima 2 . Oggi disponiamo, quindi, di una nutrita serie di studi, i quali si indirizzano al pensiero e alle opere di Foucault secondo prospettive che sono, a volte, riduttive e parziali, quando non apertamente svianti. Di fronte a una siffatta terra-di-nessuno 3 , ci sono delle ragioni storico-politiche evidenti: ciò che egli diceva non era indolore né per il marxismo ortodosso, né per la psicoanalisi, né per le posizioni liberali, e nemmeno per le istituzioni politiche e giuridiche dello Stato contemporaneo. Gli ambiti tradizionali del pensiero e dell’azione politica vengono problematizzati in profondità, operazione, quest’ultima, che non poteva non suscitare imbarazzi e accese reazioni da parte di chi dava per scontate troppe “verità”. A ciò si aggiunga anche un certo carattere sfrontato e provocatorio di Foucault : “I libri dovrebbero essere delle specie di bombe e nient’altro” 4 . Un’altra ragione che può aiutarci a capire perché si è prodotto un così acceso campo di battaglia attorno al pensiero filosofico di Foucault è da rintracciare nella complessa rete che collega le opere pubblicate a tutto un “teatro di dichiarazioni” 5 , in cui le numerose interviste rilasciate detengono un ruolo determinante nella esposizione pubblica del suo 1 Foucault stesso ha più volte rifiutato di definirsi filosofo, preferendo specificare la sua funzione di intellettuale, ma, infine, assumendo nella fase finale del suo pensiero l’attributo di filosofo. 2 Cfr. M. Foucault, Precisazioni sul potere. Risposta ad alcuni critici (1978), in “Aut-Aut”, 167-168 sett.- dic. 1978, p. 5: “Bisogna che l’individuo sia condannabile e condannato; poco importa la natura delle prove”. Non possiamo che essere d’accordo con l’affermazione di John Rajchman secondo cui “la produzione di Michel Foucault è stata a lungo accompagnata da dissensi, fraintendimenti e veementi polemiche”, in Michel Foucault. La libertà della filosofia, Armando Editore, Roma, 1987, p. 7. 3 Cfr. intervista a M. Foucault, Politica ed etica (1983), in D.E. vol. IV, p. 587: “Un socialista ha scritto che il pensatore che mi era più prossimo era Adolf Hitler (…). Sono stato considerato dai liberali come un tecnocrate agente per conto del governo gollista, sono stato considerato dai gollisti come un pericoloso anarchico di sinistra (…) che era apertamente un agente del K.G.B.” 4 Cfr. intervista a M. Foucault, Dialogo sul potere (1978), in D.E. vol. III, p. 477. 5 L’espressione è di G. Deleuze, come ci informa J. Miller nella sua biografia La passione di Michel Foucault, Longanesi, Milano, 1994, p. 439.

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