La politica economica di tutela dell'ambiente nei Paesi in via di sviluppo: il caso sudafricano
Gli aspetti economici dei problemi ambientali rivestono un’importanza crescente nella nostra epoca anche perché, la loro risoluzione richiede l’impiego di risorse economiche ingenti e crescenti e, d’altra parte, la prevenzione di nuovi problemi ambientali richiede una modifica sostanziale delle caratteristiche dei processi produttivi e di consumo, oltre ad un particolare orientamento del progresso e della tecnologia. Per un lungo periodo l’economia e l’ambiente sono stati considerati rivali ma, negli ultimi anni, si è lavorato per giungere ad una nuova fase in cui l’attività e la crescita economica siano viste in armonia con la preservazione dell’ambiente naturale. In particolare lo scopo di questo processo è di dimostrare che, lo sviluppo economico può essere sostenibile se accompagnato ad un livello costante di qualità dell’ambiente, e all’introduzione di un progresso tecnologico nelle attività di produzione e di consumo che riduca progressivamente l’uso dell’ambiente per unità di prodotto nazionale.
Negli ultimi due decenni il mondo si è trovato ad affrontare una nuova serie di problemi ambientali, tra i quali il cambiamento climatico dovuto al riscaldamento del globo, la deforestazione, le piogge acide, il processo di desertificazione e il crescente degrado dei bacini idrografici. L’internalizzazione del problema ambientale ha condotto negli anni alla convocazione delle convenzioni internazionali per la tutela dell’ambiente, ed una riflessione su di esse può essere utile per ripercorrere le fasi principali della politica ambientale.
Il mio lavoro è stato articolato in quattro capitoli. Il primo ripercorre i contributi principali della letteratura dell’economia dell’ambiente legati ai concetti di esternalità, di internalizzazione e dei diritti di proprietà. Nel secondo capitolo l’analisi prosegue attraverso le conclusioni principali delle convenzioni internazionali sull’ambiente, dalla Conferenza sull’Ambiente Umano di Stoccolma del 1972, all’ultima riunione della sesta conferenza delle parti della Convenzione sui Cambiamenti Climatici (COP-6) tenutasi all’Aja il 20 Novembre 2000.
La Conferenza del 1972, oltre della creazione del United Nation Development Programme (UNEP), il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, sembra aver avuto il compito di evidenziare il carattere internazionale dei problemi ambientali tramite l’elaborazione di una serie di principi guida per la futura politica internazionale di tutela ambientale. In effetti, le osservazioni emerse a Stoccolma sulla condizione di degrado dell’ambiente globale, hanno innescato un procedimento molto lento di trasformazione del modo di considerare l’ambiente. La consapevolezza che l’ambiente è una proprietà comune e che non può essere sfruttata senza ipotecare il benessere delle generazioni future, divenne più chiara successivamente, quando, nel 1987 l’UNEP elaborò il Rapporto Brundtland, intitolato “Our common future”, che conteneva la definizione di sviluppo sostenibile. Secondo questo principio, alla luce del criterio della sostenibilità intergenerazionale, ogni generazione ha il dovere di garantire che il benessere atteso dai loro figli non sia inferiore a quello da loro percepito. Un posto di rilievo in questo capitolo è occupato dalla Conferenza di Rio del 1992, insieme con un’analisi approfondita delle due Convenzioni che derivano da essa: la Convenzione sulla Biodiversità e quella sui Cambiamenti Climatici. La necessità di una convenzione sui Cambiamenti Climatici deriva, in parte, dalla rilevazione dei dati storici sulle temperature registrati dal 1860 che mostrano un riscaldamento nelle temperature globali medie che va da 0,3 a 0,6 gradi centigradi, mentre nello stesso periodo il livello dei mari è cresciuto da 10 a 25 centimetri.
Insieme alla Conferenza sui Cambiamenti Climatici si fa riferimento, in particolar modo, al Protocollo di Kyoto, documento prodotto dalla conferenza della parti nel 1997, analizzando i meccanismi di flessibilità da esso proposti, che permetterebbero, se adeguatamente utilizzati, di attuare una riduzione consistente delle emissioni tramite la collaborazione tra i paesi industrializzati ed i PVS. Purtroppo, la COP-6 dell’Aia, che aveva il compito di portare all’attuazione di questo protocollo è fallita, e la decisione è stata rimandata al 2002.
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Informazioni tesi
Autore: | Cristina Ciotti |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 1999-00 |
Università: | Università degli Studi Roma Tre |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze Politiche |
Relatore: | Gian Cesare Romagnoli |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 221 |
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