Corpo organico e corpo inorganico nel cinema di David Cronenberg
Partendo dalle acquisizioni della fenomenologia soprattutto per quanto concerne l’idea del soggetto che è il proprio corpo-nel-mondo (da Merlau-Ponty a Galimberti), seguendo la linea del corpo senza organi, o inorganico, in continua lotta con l’organismo che vuole totalizzarlo legandolo al suo funzionamento, da Artaud a Deleuze, passando per le più recenti ricognizioni di Teresa Macrì sul corpo postorganico delle performance che vuole riappropriarsi di sè, ridefinendosi, attraverso approcci alternativi al mondo contemporaneo (la tecnologia, l’immaginario mediatico, etc.), la presente ricerca si propone di analizzare il cinema di Croneberg alla luce delle molteplici prospettive che il corpo mutante in esso assume. Ma arrivati a questo punto si pone subito un problema nodale, un dubbio metodico: come approcciarsi allo studio del corpo filmico cronenberghiano senza ingabbiarlo o fagocitarlo? Come difendersi dal dualismo disgiuntivo che vorrebbe fare della teoria la controprova o prova di fedeltà dell’oggetto d’analisi ? Come evitare di considerare il corpo filmico un organismo, cioè un corpo organicamente organizzato, gerarchiazzato e funzionalizzato ad un unico sistema di riferimento che mentre lo anima lo isola e così facendo inevitabilmente lo cadaverizza? Ed infine come disinnescare o sabotare l’organismo e liberare e far agire il corpo senza organi ? Si tratta di inserire questo corpo in un contesto, un ambiente, un mondo in cui possano agire altri corpi, altre forze, quindi territorializzarlo e codificarlo inevitabilmente ma tentando di non devitalizzarlo del tutto, destratificarlo senza distruggerlo e lasciandogli sempre aperta la possibilità di reagire, fuggire, connettersi con l’altro e con l’altrove, mutare. Per fare ciò ho usato paradossalmente sia prudenza che arbitrarietà, arbitrarietà nell’inserirlo in un campo di forze estranee (filosofiche, letterarie, pittoriche…), prudenza nello schematizzarlo e cartografarlo in funzione di questi altri corpi (che potrebbero assorbirlo del tutto), prudenza nell’inserirlo in una stanza della tortura o in un terreno di lotta e arbitrarietà nel lasciarlo reagire. Il divenire tesi del corpo filmico non dovrebbe significare trasformarsi in essa, ma immettersi con essa nell’accelerazione e nel tipo di movimento che scaturisce dalla loro interazione. Così si sviluppa un movimento discorsivo che diventa una linea di fuga che ritorna su se stessa mentre continua a fuggire. Una linea a spirale che da una parte curvandosi produce il senso che territorializza e codifica, dall’altra evitando di chiudersi proietta il corpo filmico verso nuovi territori di senso. Sin qui la tesi e il corpo filmico. Ma questa è anche una mise en abime dei vari sistemi con i quali il corpo è interconnesso ed interagisce e all’interno dei quali trova sempre nuove attualizzazioni, mantenendo però la caratteristica dell’essere in sè sempre fuori di sè, la sua capacità di essere limite ed oltrepassamento del limite, essere cioè da una parte uno straordinario ricettore di segni e significati e dall’altra proprio ciò che sfugge a questi codici, e niente meglio del cinema può farci vedere questo movimento. Nel cinema tutto si fa corpo, corpo inorganico, e al suo interno trova facilmente terreno fertile la dialettica con l’ombra, con l’immaginario, col mondo, etc. sino a quella strutturale tra il corpo del visibile (il piano di consistenza del visibile) sempre instabile, in movimento e l’invisibile che lo sottende, sempre relativo, sempre pronto a mostrarsi (il corpo pulviscolare e micromolecolare del cinema), e infine all’esterno come corpo-film o immagine-corpo che interagisce con lo spettatore, il mondo, la realtà. Naturalmente i modi e le forme di queste inter-relazioni sono i più diversi e possono anche funzionare come materiale inconscio da occultare o reprimere, essere mascherati, orientati o addomesticati in qualche modo. La messa a fuoco è sul corpo, nelle sue varianti specifiche, ma l’immagine sfoca comunque (metaforicamente, non letteralmente) perchè è un’immagine guardata, un’immagine che ha già in sè questo virus, l’occhio (che è sempre occhio della mente) guarda il corpo che muta e il corpo muta l’occhio che lo guarda. Così in ogni suo film al movimento del corpo è sempre legato lo sguardo che giudica, interpreta, che è costretto a mutare, a riflettere su se stesso mettendosi necessariamente in gioco. Cronenberg sembra aver fatto suoi i concetti di ‘futuro annesso al presente’ e di ‘spazio interno’ formulati da J.G. Ballard; egli interpreta così (o meglio sperimenta) la contemporaneità come attualità interconnessa al virtuale, facendo vacillare i concetti dominanti di realtà e di verità.
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Informazioni tesi
Autore: | Daniele Guastella |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2000-01 |
Università: | Università degli Studi di Firenze |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Lettere |
Relatore: | Mario Garriba |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 139 |
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