I diritti umani tra diritto interno e CEDU: la questione delle carceri e del ''fine pena mai''
Al centro di questo lavoro, viene posto uno degli argomenti più dibattuti tra gli ambienti della politica e della dottrina dal 2 dopo guerra ai giorni nostri, la protezione dei diritti fondamentali tra diversi ordinamenti giuridici ed in particolare il contributo offerto dal Consiglio d'Europa attraverso La Convenzione europea dei diritti dell'uomo; essendo la tematica di vasta portata ho scelto di focalizzare l'attenzione in uno dei luoghi in cui spesso il livello minimo di tutela viene a mancare: il carcere, analizzando il quadro europeo che il legislatore italiano è tenuto a considerare nell'elaborazione di un espressa previsione penale in materia di tortura e nello specifico all'art. 3 CEDU, il quale sancisce in termini assoluti, il divieto dell'uso della tortura e di trattamenti e/o punizioni inumane o degradanti.
COSA ACCADE NEGLI ISTITUTI DI PENA? QUALI DRITTI APPARTENGONO AI SOGGETTI RECLUSI? A QUALI ORGANI POSSONO CHIEDERE TUTELA E IN BASE A QUALI NORME? IL REGIME DEL 41-BIS PUO'ESSERE CONSIDERATO UNA MISURA AI LIMITI DELLA COSTITUZIONALITÀ?
In primo piano vi è la criticità strutturale del sovraffollamento detentivo, che per come stabilito dalla Corte di Strasburgo nel 2013 nella sentenza Torreggiani, costituisce un trattamento inumano e degradante, attestando la sistematica violazione dell'art.3 CEDU ed evidenziando in particolar modo le criticità dovute allo spazio eccessivamente ridotto e mal mantenuto concesso ad ogni detenuto
Riguardo a tale ultimo aspetto, in particolare, il legislatore ha previsto rimedi risarcitori e compensativi e possibili soluzioni per ridurre drasticamente la popolazione presente negli istituti penitenziari, ossia quella offerta dalle misure alternative e sostitutive alla pena detentiva. Tali misure, il cui uso è fortemente incentivato dagli organi europei ed internazionali che si occupano della materia del diritto penitenziario, non trovano purtroppo una vasta applicazione da parte dei giudici italiani. ancora oggi siamo in presenza di un tasso di sovraffollamento pari al 119%.
L'attenzione è posta sulle criticità costituzionali rappresentate dal regime esecutivo del c.d. ergastolo ostativo, strumento introdotto dallo Stato italiano nell'intento di sradicare la criminalità organizzata, : un ergastolo che, sulla base della presunzione di pericolosità del condannato non collaborante, esclude qualsiasi possibilità di liberazione. Tale applicazione comporta la sospensione delle norme abituali dei detenuti ed internati. In particolare, le restrizioni saranno imposte a quanti sono privati della libertà personale in relazione ai gravissimi delitti riguardanti le associazioni di tipo mafioso, criminale, terroristico o eversivo. L'art 41-bis, comma 2 ord. penit., come tutte quelle norme introdotte in situazioni di emergenza, nella sua origine presentava molti aspetti di incostituzionalità e violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo che sono state prontamente sollevate dinnanzi alla Corte costituzionale e alla Corte di Strasburgo con particolare riferimento alla preclusione di accesso ai benefici e liberta condizionale. tanto da condannare il nostro Paese con la storica pronuncia della Corte EDU del 13 giugno 2019 n. 77633-16, relativa al Caso Viola c. Italia, alla revisione della disciplina del c.d. ergastolo ostativo, giudicata in contrasto con l'art. 3 della CEDU: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.
L'ergastolo, lo si è detto in premessa, non è una pena come le altre e neanche più lunga delle altre. Per il condannato all'ergastolo ogni giorno non è “uno di meno” rispetto al recupero della libertà, ma “uno di più" rispetto al nulla del suo tempo.
Sono molto frequenti casi di ergastolani che passano in carcere più di quaranta anni e ci si chiede se pene detentive così lunghe e soprattutto indefinite possano essere in armonia con la Costituzione, la CEDU e le numerose convenzioni stipulate dall'Italia in materia di diritti umani. L'auspicio è che il nostro Paese, tuteli al massimo le persone sottoposte a regime differenziato (e non), poiché se il fine del 41-bis è di interrompere le organizzazioni criminali sicuramente non può essere considerato legittimo, le misure proposte di tale regime; primo tra tutti l'isolamento giornaliero ma anche il divieto di cucinare o di lavorare. Per quanto tempo ancora apparirà sul casellario giudiziario dei detenuti “fine pena mai” non ci è dato a saperlo, di certo per molto tempo ancora il dibattito dottrinale e politico sarà in evoluzione sul tema e a far conciliare la Costituzione e il suo terzo comma dell'art. 27: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
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Informazioni tesi
Autore: | Catia La Bella |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2019-20 |
Università: | Università degli Studi della Calabria |
Facoltà: | Scuola di Amministrazione Aziendale |
Corso: | Scienze dell'Amministrazione |
Relatore: | Giampaolo Gerbasi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 140 |
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