Gli standard a tutela della Cybersecurity e l'Organizzazione Mondiale del Commercio
La tutela della cybersecurity è sicuramente una delle sfide principali del nostro secolo. Nell’odierna società digitale i dati e le informazioni sono un bene dal valore inestimabile, tanto da essere diventati uno dei fattori principali per la crescita economica e la gestione degli equilibri politici e commerciali a livello internazionale. Dal valore di queste risorse risulta inevitabilmente la necessità di intervenire per garantirne la protezione e la sicurezza. Sono state le rivelazioni di Edward Snowden sulle attività di sorveglianza di massa compiute dall’NSA a portare all’attenzione degli Stati le criticità della nuova società digitale, in cui tutte le attività - dal commercio, alla comunicazione, alla difesa, fino all’azione governativa - dipendono da sistemi informatici vulnerabili. La conseguenza è stata l’adozione da parte degli Stati di misure a tutela della propria cybersecurity, le quali, però, hanno spesso creato limiti consistenti al libero flusso di dati, all’interoperabilità e, in generale, al commercio internazionale. In particolare, molti Stati hanno adottato standard nazionali di cybersecurity, che, impedendo l’armonizzazione, hanno ostacolato il libero scambio di beni e servizi e sono stati spesso utilizzati come pretesto per realizzare, in realtà, intenti protezionistici. Ciò è avvenuto, per esempio, nelle economie emergenti dell’Asia Orientale, dove le tecnologie dell'informazione sono state utilizzate come uno strumento per raggiungere i paesi industrializzati. Un caso particolarmente esplicativo di questo fenomeno è quello dello standard WAPI: la Cina ne ha giustificato l’adozione sostenendo l’esistenza di lacune di sicurezza nello standard internazionale IEEE-802.11. La stessa Cina è stata bersaglio di misure protezionistiche giustificate dalla tutela della cybersecurity: il colosso della tecnologia mobile Huawei ha subito forti limitazioni dal punto di vista commerciale a causa delle politiche di sicurezza adottate dagli Stati Uniti. La questione è in che modo tutte queste misure possano essere giustificate di fronte all’Organizzazione Mondiale del Commercio, dal momento che esse realizzano una evidente violazione dei principi di libero scambio su cui essa si fonda. Nel silenzio dell’OMC, gli Stati hanno trovato una giustificazione delle loro politiche di cybersecurity nell’articolo XXI dell’Accordo Generale sulle Tariffe doganali e il Commercio, “eccezioni concernenti la sicurezza”, il quale prevede che “Nessuna disposizione del presente accordo sarà considerata […] come intesa ad impedire una Parte contraente da ogni misura che stimi necessaria alla tutela degli interessi essenziali della sua sicurezza”. L’interpretazione di questo articolo secondo le regole previste dagli articoli 31 e 32 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati sembra confermarne la natura self-judging e, di conseguenza, la totale discrezionalità degli Stati nel valutare quale situazione possa rientrare in questa eccezione. L’unico modo per evitare abusi sembrerebbe, quindi, quello di interpretare l’articolo secondo il principio di buona fede. Tuttavia, nessuna posizione è stata realmente presa dall’OMC sulla questione. In conclusione, l’Organizzazione Mondiale del Commercio non è riuscita a dare delle risposte efficaci alle nuove sfide dell’economia digitale e al problema della cybersecurity. È auspicabile che l’OMC si impegni per contribuire significativamente alla formazione di un quadro generale e coerente per il commercio digitale, adottando regole e standard che garantiscano il giusto bilanciamento tra il libero scambio e la protezione della cybersecurity, riducendo al contempo l'attuale ripresa del protezionismo digitale.
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Informazioni tesi
Autore: | Veronica Boccia |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2018-19 |
Università: | Università degli Studi di Torino |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Alberto Oddenino |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 106 |
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