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Interdizione, amministrazione di sostegno e gestione d'impresa

Tutto parte da una domanda affatto banale che sorge nel momento in cui un imprenditore perde la sua capacità d’agire poiché interdetto o assoggettato ad amministrazione di sostegno: che sorte avrà l’impresa fino a quel momento gestita con tanta fatica?
Che accade se un socio di società di persone o di capitali, amministratore o non, perde la sua capacità d’agire? Cosa ne sarà della gestione o della quota societaria?
Rispondere a questa e ad altre domande è lo scopo di questo lavoro
Il tema della partecipazione di soggetti incapaci in impresa è argomento poco trattato dalla dottrina e dalla giurisprudenza. I principali contributi teorici si soffermano sul tema spesso in maniera sbrigativa, rinviando ad altri lavori o non approfondendo le varie ipotesi in cui l'incapace può trovarsi nell'ambito della vita aziendale.
Si vuole quindi fare chiarezza nell'articolato astrattismo tecnico e teorico che caratterizza la disciplina della partecipazione dell'interdetto e del beneficiario dell'amministrazione di sostegno ad un'impresa, esaminando le differenti posizioni dottrinali e giurisprudenziali, alla luce delle diverse ipotesi mosse di caso in caso.
La disciplina riguardante la partecipazione in impresa dell'interdetto è scarna e costituita da tre soli articoli: il 371, il 424 e il 2294 del c.c.
Al primo comma, numero 3, dell'art. 371 c.c. si riconosce al giudice tutelare, tra le altre cose, l'onere di pronunciarsi sulla continuazione dell'impresa che si trova nel patrimonio dell'interdetto e ne dispone le relative cautele e condizioni. Ai sensi del secondo comma, se il giudice ha stimato come evidentemente utile la continuazione dell'azienda, il tutore deve adire il tribunale ordinario affinché rilasci l'autorizzazione al continuo. A questo articolo rinvia anche il 2294 c.c. relativo alla partecipazione a società in nome collettivo dell'interdetto. Ciò non chiarisce a chi effettivamente sia trasferita la gestione.
È sempre il giudice tutelare che, in base alle valutazioni prescritte all’art. 371 c.c., vaglierà il novero di soggetti (familiari e non) a cui affidare la gestione; sempre che la continuazione dell’impresa tuteli l’incapace.
All'interdetto è invece preclusa la possibilità di costituire ex novo una impresa o una S.N.C., in quanto la valutazione effettuata ex art. 371 c.c. si basa su dati come la clientela, l'andamento storico degli utili, la struttura dell'indebitamento o la struttura patrimoniale dell'impresa che non si possono avere in relazione ad una impresa da costituire. L'investimento di capitali per iniziare una nuova impresa viene quindi considerato rischioso e lesivo della conservazione del patrimonio dell'interdetto, assunto dal legislatore come principio fondamentale della tutela di soggetti incapaci. Per le altre società di persone e di capitali varranno diverse considerazioni, graduate dalla minore rischiosità della partecipazione in tali forme societarie.
Per il beneficiario dell'amministrazione di sostegno la situazione è ancor meno chiara. Difatti nessun articolo dispone esplicitamente circa la continuazione dell'impresa.
La dottrina ne individua uno, uno solo, che dispone una disciplina, seppur, si può dire, “derivata”: l'art. 411 c.c., dove al quarto comma si dispone che taluni effetti, limitazioni o decadenze previste per l'interdetto e per l'inabilitato si estendano anche al beneficiario dell'amministrazione di sostegno.
In materia d'impresa il giudice tutelare può quindi estendere all'amministratore quanto è previsto per l'interdetto, ma anche quanto disposto per l'inabilitato.
Taluni sostengono che l'estensione possa risultare superflua, in quanto secondo le intenzioni del legislatore, il beneficiario è generalmente capace di agire. I limiti della sua capacità si possono riscontrare unicamente dalla lettura del decreto di nomina dell'amministratore di sostegno, così come emesso ex art. 405 c.c. o così come integrato successivamente ex art. 407 c.c., se si rende necessario determinare il destino dell'impresa.
Se al beneficiario è riconosciuta la capacità per continuare ad esercitare l'attività d'impresa, egli può continuare a gestirla direttamente senza problemi. Contrariamente non solo si avrà bisogno di ottenere l'autorizzazione al continuo tramite estensione dell'art. 371 c.c. ma la gestione potrà essere proseguita esclusivamente con l'assistenza o la rappresentanza dell'amministratore di sostegno, a seconda dell'incapacità del beneficiario.

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1 INTRODUZIONE La partecipazione di soggetti incapaci in impresa è argomento trattato dalla dottrina soprattutto nei manuali di volontaria giurisdizione e di diritto commerciale. I principali contributi teorici si soffermano sul tema spesso in maniera sbrigativa, rinviando ad altri lavori o non approfondendo le varie ipotesi in cui l’incapace può trovarsi nell’ambito della vita aziendale. Pochi sono i testi che discutono in modo ampio le implicazioni che una partecipazione in impresa, individuale o collettiva, comporta per l’incapace. Ancor meno sono le pronunce della giurisprudenza di legittimità e di merito sull’argomento. A questo si aggiunga una scarsa disciplina concretamente applicabile all’interdetto e al beneficiario dell’amministrazione di sostegno la quale si compone di pochi articoli, che riguardano principalmente la partecipazione ad un’impresa individuale preesiste o ad una società in nome collettivo. In tutti gli altri casi non espressamente disciplinati, si deve ricorrere allo strumento dell’interpretazione. Invero la dottrina non manca di opinioni in materia, che molto spesso sono contrastanti tra loro e non avvalorate da pronunce giurisprudenziali che ne diano autorevolezza. L’obbiettivo di questo lavoro è quindi fare chiarezza nell’articolato astrattismo tecnico e teorico che caratterizza la disciplina della partecipazione dell’interdetto

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