Omicidio in famiglia: esiti e conseguenze emotive, psicologiche e sociali sui figli sopravvissuti alla morte della madre per mano del padre
Il presente elaborato scaturisce dalla necessità di capire come nascano e si sviluppino le condotte violente che spesso sfociano nell ‘uxoricidio, come possa essere la vita degli orfani sopravvissuti a queste tragedie, cosa si può fare per controllare e prevenire questo tipo di episodi ormai sempre più frequenti, tanto da assumere i contorni di emergenza, con implicazioni sociali culturali psicologiche ed emotive. Il lavoro si apre con una enucleazione delle diverse espressioni del fenomeno e la differenza tra le due definizioni di “femminicidio”, inteso come omicidio di una donna a causa del suo genere e “uxoricidio” che si riferisce all’ uccisione della donna da parte del compagno o ex, fornendo un excursus analitico sotto il profilo semantico, sociale, storico e legislativo. Particolare rilievo si attribuisce al termine “Intimate partner violence” che connota la violenza esercitata verso la donna da parte del proprio partner in ambito domestico, e racchiude in se’ tutti i comportamenti violenti che vanno dalla prevaricazione verbale a quella psicologica e fisica. I dati relativi alla diffusione dell’ uxoricidio in Italia indicano che ogni anno vi sia una media di 110 donne uccise per mano del proprio partner, circa una ogni tre giorni; basterebbe questa indicazione per definire il fenomeno una vera e propria guerra combattuta tra le pareti domestiche e che oltre alle donne coinvolgono come vittime inconsapevoli anche i figli che assistono alle violenze. Al contrario di quanto spesso si è portati a pensare, la violenza non nasce, a parte pochissime eccezioni, da una situazione sfuggita di mano in maniera estemporanea ma nella maggior parte dei casi è l’ esito di una vera e propria “escalation” che parte dalla violenza verbale, dalla necessità di mantenere il controllo da parte dell’ uomo, dalla oggettivizzazione della donna e dalla indifferenza ai suoi bisogni. Le tipologie e le forme di violenza agita nei confronti della partner sono di tipo psicologico, economico, fisico e sessuale, fino ad arrivare allo stalking e sfociare anche nell’ omicidio. Dal punto di vista legislativo ancora oggi non vi è una legge che preveda il riconoscimento del reato di “violenza di genere”. I motivi che portano un uomo ad esercitare la violenza contro la propria partner sono in parte ascrivibili alle dinamiche interpersonali della coppia: l’ esame dei casi di condotte violente ed omicidiarie indicano, come causa scatenante, la mancata accettazione della separazione o dell’ abbandono da parte della donna. A questo proposito convivono diverse teorie, formulate sulla base delle maggiori scuole di pensiero, da quella freudiana ,che prende in esame il narcisismo dell’ adulto, a quella che analizza le forme disfunzionali della teoria dell’ attaccamento, passando per le relazioni oggettuali fino ad arrivare alla visione dei nessi casuali di Gargiullo e Damiani. Al termine della disamina possiamo affermare che le condotte violente siano attribuibili, in definitiva, a tutti gli aspetti presi in considerazione, concludendo che ogni individuo sia da considerare il compendio di molteplici aspetti, tra i quali quelli caratteriali, educativi, culturali, ambientali e sociali interagiscono l’ uno con l’ altro a formare e regolare l’ agire di ognuno. Aspetto interessante è che, in moltissimi casi in esame, la gravidanza o la presenza dei figli possa essere considerata un fattore di rischio nei casi di uxoricidio; l’ uomo predisposto alla violenza, messo da parte dalla donna che accudisce la prole, vive la situazione con disagio e reagisce in maniera incontrollata. I bambini che si trovano ad assistere alle violenze in famiglia sono a tutti gli effetti le vittime inconsapevoli e inermi, testimoni diretti del conflitto; il trauma vissuto è incancellabile e segna la mente e lo sviluppo sia presente che futuro del bambino. In questi casi la mamma e il papà smettono di essere le figure di riferimento e fonte di sicurezza e accudimento e costituiscono rispettivamente la vittima da proteggere e l’aggressore che genera paura e ansia; queste relazioni violente educano alla violenza. Solo interventi immediati e mirati alla protezione delle mamme e dei loro figli, terapie funzionali al ripristino delle funzioni genitoriali, laddove sia possibile, una valutazione del grado di impatto psicologico del trauma sul bambino e un reinserimento nella vita sociale, possono restituire il piccolo al suo sviluppo e al recupero dell’ infanzia e di un futuro sereno. Per i 1500 orfani di uxoricidio (stima in Italia negli ultimi dieci anni) il discorso è molto più complesso perché al trauma e allo choc si aggiungono una serie di questioni pratiche che vanno dall’ affidamento ai parenti prossimi o strutture adeguate, alla potestà genitoriale del padre-omicida, alla burocrazia sotto il profilo economico e sociale.
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Informazioni tesi
Autore: | Simona Di Bello |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2015-16 |
Università: | Università Telematica "E-Campus" |
Facoltà: | Psicologia |
Corso: | Scienze e tecniche psicologiche |
Relatore: | Chiara Rollero |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 40 |
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