Il raptus della donna nell'antica Roma
Il fenomeno del raptus era una pratica antichissima, molto in uso sia nel mondo romano che in quello greco e, nonostante fosse stato ostacolato sia culturalmente che giuridicamente, si è tramandato nel corso dei secoli, fino alla metà del 900 con la tipica “fuitina” siciliana.
Era una pratica in cui un individuo s’impossessava di un altro individuo con l’uso della forza. Ad essere rapiti erano sia uomini che donne per vari motivi: o perché, vinti, venivano presi come bottino di guerra, o perché catturati dai pirati per poi chiedere un riscatto, o perché debitori, avevano dato in pegno la propria persona; ma era particolarmente la donna che subiva il raptus da parte di uomini senza scrupoli, o per libidine o a scopo di matrimonio.
Tra tutti i tipi di raptus, quest’ultimi erano i più frequenti e avevano ripercussioni socio-culturali ed economiche di grande rilievo:
• Dal punto di vista socio-culturale, perché i Romani erano un popolo di misogini, che trattavano le donne come oggetto e non come individuo, e si servivano del ratto come un mezzo “simbolico” per sottomettere ed affermare la propria superiorità sul genere femminile. Di solito ad un rapimento seguiva uno stupro e la vergine che veniva violentata perdeva l’onore e la dignità, elementi che, in una cultura abbastanza chiusa com’era quella romana, erano essenziali per il valore stesso della donna. Una volta disonorata, la donna veniva etichettata negativamente ed isolata dalla comunità, e con lei anche tutta la sua famiglia; infatti, spesso si ricorreva al più presto a nozze riparatrici.
• Dal punto di vista economico, perché il ratto di una fanciulla a fine di matrimonio comportava un prezzo sia che si trattasse di rapimento consensuale, che di rapimento imposto. In qualsiasi caso il raptus comportava la circolazione di denaro, o sotto forma di una somma che il rapitore consegnava al padre di lei come riscatto per la perdita della figlia, oppure sotto forma di beni mobili e immobili che venivano confiscati sia al rapitore che ai suoi complici. Si trattava di interi patrimoni di grande valore economico che, soprattutto sotto Giustiniano (se i rapimenti non riguardavano donne votate a Dio) andavano a confluire nelle casse dello Stato,
Viene messa in evidenza una continua distinzione tra il tipo di ratto a fine di matrimonio “consensuale”, in cui la donna era complice del rapitore per fuggire insieme, e quello “imposto” con la violenza, in cui la donna acconsentiva solo successivamente alle nozze per il disonore e l’imposizione dei genitori.
Nel corso dei capitoli, il fenomeno è trattato a livello storico, poiché questo fenomeno ha radici profonde nelle origini della nostra civiltà; a livello letterario, perché il rapimento fu recepito anche dagli autori latini, che ne fecero un topos ricorrente nelle loro opere, in primis con il ratto delle Sabine; a livello giuridico, mettendo in evidenza tutte le leggi e i provvedimenti che gli imperatori presero per porre fine a questo fenomeno.
L’argomento è trattato seguendo una parabola cronologica che va dall’età arcaica fino a Diocleziano, in cui il raptus era ancora un reato incerto, confuso spesso con lo stuprum e l’adulterium e che rientrava nella sfera dei crimina de vi. Segue poi l’età di Costantino, primo imperatore a rendere autonomo questo reato e a porre leggi più severe, sia per il rapitore che per la donna rapita, istituendo la pena capitale per entrambi. Si prosegue con la politica legislativa di Giustiniano, di fondamentale importanza, che riunì tutta la legislazione precedente in un “testo unico”, rendendo in questo modo la disciplina del raptus completa ed esaustiva. Infine, viene messo in risalto come il Cristianesimo, apportò un profondo rivolgimento della concezione della vita e una radicale revisione dei valori umani, influendo molto sugli imperatori Costantino e Giustiniano, i quali modellarono la propria politica volta a servire Dio e non più la dea Roma. Ciò non avvenne in modo brusco e radicale, ma alla legislazione precedente furono apportate nuove leggi per salvaguardare la morale cristiana. In questo contesto di fervida sensibilità e carità, il ratto fu visto come uno dei peggiori crimini sia dagli imperatori che dalla Chiesa, paragonato all’omicidio e perseguito severamente, perché intaccava valori come la castità e la pudicizia della donna.
Metterò in risalto tutti i provvedimenti presi a tal fine, dalla pena di morte alla confisca dei beni, dalla condanna al rogo dei servi a quella di fare ingerire piombo fuso alle nutrici, facendo vedere come le atroci pene e le cruenti torture imposte ai colpevoli di raptus, andassero contro i principi di amore verso il prossimo e di compassionevole perdono, propri della dottrina cristiana.
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Informazioni tesi
Autore: | Sebastiana Nancy Grasso |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2013-14 |
Università: | Università degli Studi di Messina |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Lettere |
Relatore: | Antonino Pinzone |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 95 |
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