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Comunicare ad arte

La pubblicità spesso usa i gli stessi codici dell'arte per comunicare, scopriamo perché e quali sono, attraverso l'analisi di alcune case histories nel campo della moda, delle automobili e dei beni di consumo. L'analisi si estende da diversi punti di vista, quello visivo, con parallelismi con opere d'arte o correnti artistiche, quello psico-sociologico, in cui si analizzano i motivi delle scelte stilistiche coerenti con lo studio del target, e altri parametri che nascono dalla ricerca e dallo studio pubblicitario.

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INTRODUZIONE Questo studio nasce da una esigenza, quella di capire perché la pubblicità, che per alcuni non è una forma d’arte, si avvale, invece, dell’arte per comunicare. Non è difficile incontrare, camminando per strada, sfogliando un giornale o vedendo la tv, delle pubblicità che ci riportano a qualcosa di già visto. Un quadro, delle forme o dei colori. “La pubblicità spesso si appropria dei nuovi linguaggi che l’arte crea”. Questa è la sentenza dei critici d’arte intervenuti alla tavola rotonda del Miart 2000 (Fiera di Arte moderna e contemporanea) organizzata dalla TP, Associazione Italiana Pubblicitari Professionisti, dove si sono confrontati sul tema, creativi, critici d’arte, rappresentanti di fondazioni culturali e istituzioni pubbliche. I rappresentanti dell’arte non hanno dato spazio al pensiero dei pubblicitari, tanto che Achille Bonito Oliva, critico d’arte, ha esordito dicendo che l’artista è un inviato speciale della realtà, mentre la pubblicità lavora sul meticciato, sull’impossesamento, inoltre l’artista è un creatore, il pubblicitario è creativo, la pubblicità si serve di linguaggi prefabbricati. Insomma dure critiche, che non si risparmia neanche Manuela Gandini: “La pubblicità è radicata nella cultura dei consumi, ha un committente. L’artista ha obblighi solo nei confronti di se stesso”. E ancora: “La pubblicità è ancora uguale a quella degli anni ’60, quella che si vedeva nei televisori dei bar dove passavano i Caroselli e le Kessler, intendo quel luogo immaginario dove non esiste la morte, la pena, dove non si crea l’inquietudine, quella pubblicità da boom economico rassicurante che cerca il consenso e non può spiazzare il telespettatore. L’arte invece per sua natura crea degli spiazzamenti linguistici sempre, inventa linguaggi. Quello dell’artista è uno sguardo critico, interrogativo, ricercatore. L’arte mette dubbio, pone delle domande, ma non dà risposte mentre la pubblicità dà delle risposte, dice che può risolvere il tuo problema, comprando il tal prodotto”. E così la Gandini arriva alla conclusione: “I due mondi possono interagire perché schegge passano nell’uno o nell’altro ma punti in comune non ce ne sono, restano ancora due mondi distanti, e non credo si possano incontrare”.

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