''Casta'', ''Cortigiana'', ''Giusta'': Mito e Antimito della Serenissima nel Merchant of Venice di William Shakespeare
La città di Venezia vanta una straordinaria biografia. Dall’inizio del primo millennio, la Serenissima inizia il suo sviluppo economico, grazie anche alla fitta rete di scambi commerciali che si andava costituendo. Contestualmente, la città lagunare istituisce una forma di governo originale, che amalgamava idealmente – soprattutto agli occhi degli stranieri – il potere. Il Doge era l’autorità massima, ma coesisteva con altri due organi vitali per lo Stato: il Senato e il Maggiore Consiglio.
La bellezza della città, la sua opulenza, il profondo senso di giustizia e la tolleranza verso le diverse culture, senza contare il sapiente lavoro di propaganda svolto dagli ambasciatori veneziani, resero la Serenissima invidiata e ammirata da tutto il mondo, creando un vero e proprio mito. Venezia, inoltre, oltre essere considerata la porta per l’Oriente, fungeva da baluardo del Cristianesimo, pronta a mitigare l’espansione turca verso l’Occidente.
Il fenomeno del mito di Venezia non era però l’unico racconto esistente riguardo la Serenissima. Esiste, infatti, un diverso tipo di letteratura, denominata dell’antimito, che mira a evidenziare i lati più o meno oscuri della città. Tra i vari documenti, numerosi diari di viaggio dipingono una realtà opposta a quella ben più diffusa: bagordi, prostituzione, omosessualità, ma anche una finta tolleranza per il diverso. William Thomas, primo inglese a scrivere un libro di storia italiana – The Historie of Italie – fu un’importante testimonianza dei lati positivi e oscuri della Repubblica di Venezia. L’opera di Thomas (influenzata probabilmente dal saggio di Gaspare Contarini Della Repubblica e Magistrati di Venezia) contribuisce ad alimentare il mito veneziano in Inghilterra, che stava vivendo un florido periodo culturale, nel periodo che è chiamato età elisabettiana.
In questo periodo così vivo dal punto di vista culturale, fu il teatro ad avere il maggiore sviluppo, la cui massima espressione si manifestò in William Shakespeare. Il teatro era un potente mezzo di comunicazione di massa, che raggiungeva velocemente un gran numero di persone di diversa estrazione sociale. Rappresentava, quindi, una grande opportunità d’indottrinamento politico, ma allo stesso tempo la City e i vari poteri politici temevano questo fenomeno perché favoriva l’organizzazione di atti di ribellione e la disseminazione d’idee alternative rispetto a quelle favorite da quelli che erano al tempo i poter forti. Per questo motivo si rafforzò la censura teatrale, nella figura del Master of the Revels, che aveva il compito di concedere le licenze o bloccare le opere. Gli spettacoli erano quindi sottoposti a un controllo, e venivano adattati e modellati secondo il volere della Regina.
Agli autori teatrali e agli scrittori, forzatamente privati di libertà artistiche, per evitare la forbice della censura e le conseguenti pene previste non rimaneva che conformare i propri testi secondo il volere del governo. Esisteva però un’altra possibilità: gli autori, nel nostro caso specifico William Shakespeare, erano costretti ad ambientare le loro opere in un altrove lontano, o da un punto di vista temporale o da un punto di vista geografico. The Merchant of Venice, come evidenziato in questa tesi, appartiene a quest’ultima categoria. [...]
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Informazioni tesi
Autore: | Mirko De Montis |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2012-13 |
Università: | Università degli Studi di Cagliari |
Facoltà: | Lingue e Letterature Straniere |
Corso: | Scienze della comunicazione |
Relatore: | Maria Grazia Dongu |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 105 |
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