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I nuovi approcci alla misurazione del benessere e il peso delle differenze sociali

La crisi economica che stiamo attraversando ha portato i politici e le istituzioni internazionali a dimostrare un forte interesse per il tema della misurazione del benessere. Le iniziative dei vari organismi nazionali e internazionali sul tema del benessere riflettono un’insoddisfazione diffusa tra i cittadini e le istituzioni, dovuta in parte a un uso inappropriato degli indicatori e in parte al fatto che, in presenza di cambiamenti rilevanti nella distribuzione del reddito, il PIL, come qualunque altro aggregato statistico, può fornire una valutazione falsa delle condizioni di vita in cui molti soggetti si trovano.
Nel corso degli anni, quindi, si è assistito a un vero e proprio spostamento di attenzione dal piano delle risorse ad altri elementi considerati capaci di misurare il benessere delle persone. Le analisi si sono spostate dalle tradizionali dimensioni del reddito ad altri aspetti non meno rilevanti quali le opportunità, le libertà, la vulnerabilità e la coesione sociale. Posto che il benessere sia da intendere in senso multidimensionale, capire quali sono le dimensioni che lo compongono e i fattori che lo determinano resta una delle questioni più problematiche per i ricercatori.
L’obiettivo del presente lavoro è stato quello di dare spazio al dibattito che si è sviluppato soprattutto negli ultimi anni a livello internazionale, relativo alla definizione e misurazione del benessere degli individui. Infine, si è cercato, attraverso un’esperienza empirica, di mostrare l’importanza di elaborare una concezione di benessere di tutti, capace di rappresentare gli interessi delle diversità che compongono le nostre società.

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Introduzione La crisi economica che stiamo attraversando ha portato i politici e le istituzioni internazionali a dimostrare un forte interesse per il tema della misurazione del benessere. Cominciando dalla comunicazione della Commissione Europea «Non solo PIl: misurare il progresso in un mondo in cambiamento» avvenuta ad agosto del 2009, passando per la pubblicazione del rapporto della Commissione Stiglitz sulla «Misurazione della performance economica e del progresso sociale», che sottolineano l’importanza di questi temi, si è assistito a un vero e proprio crescendo di riflessioni e discussioni che, forse, condurrà a quello che si definisce un «cambio di paradigma» nel modo di valutare il successo di un paese (Giovannini, 2010). Le iniziative dei vari organismi nazionali e internazionali sul tema del benessere riflettono un’insoddisfazione diffusa tra i cittadini e le istituzioni, dovuta in parte a un uso inappropriato degli indicatori e in parte al fatto che, in presenza di cambiamenti rilevanti nella distribuzione del reddito, il PIL, come qualunque altro aggregato statistico, può fornire una valutazione falsa delle condizioni di vita in cui molti soggetti si trovano (Panico e Sapienza, 2010). Da un Sondaggio Eurobarometro condotto nel 2008, è risultato che più di 2/3 dei cittadini dell’UE sono del parere che per misurare il progresso sia necessario impiegare in ugual misura indicatori sociali, ambientali ed economici. L’utilizzo del PIL pro capite come proxy del benessere della popolazione ha avuto decisamente senso, in una fase in cui la crescita economica coincideva con importanti miglioramenti sul piano sociale, sulla speranza di vita e l’istruzione in primis. In effetti, negli Stati Uniti, già nel 1968, poco prima di essere ucciso, Robert Kennedy disse: “Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del Paese sulla base del prodotto interno lordo (PIL). Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani”.

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