La tutela della lavoratrice madre nell'ordinamento italiano
In Italia, le prime leggi a tutela della maternità in materia di lavoro vennero emanate nel XIX secolo, in ritardo rispetto agli altri paesi europei. Agli inizi del Novecento venne approvata la legge n. 242, nota come “legge Carcano”, che prevedeva per le madri lavoratrici un congedo obbligatorio non retribuito nelle quattro settimane successive al parto. Nello stesso periodo venne istituita una cassa di maternità che prevedeva l’erogazione di un sussidio alle lavoratrici in congedo.
In seguito il regime fascista rallentò lo sviluppo normativo a favore del lavoro femminile e, poiché mirava alla crescita dei tassi di natalità, le donne vennero incoraggiate a rimanere a casa per dedicarsi alla cura della famiglia. Con la caduta del fascismo, i padri costituenti si trovarono di fronte all’esigenza di colmare il vuoto legislativo. Di conseguenza nella Costituzione vennero sanciti alcuni principi molto importanti in tema di maternità.
In particolare l’articolo 37 introduceva il principio secondo cui lo svolgimento della funzione familiare deve essere pienamente consentito alla donna che lavora, così come la possibilità di svolgere un’attività lavorativa extradomestica non deve essere compromessa dall’adempimento delle funzioni familiari.
La maternità, a cui originariamente si rivolge la tutela costituzionale, è intesa sotto il profilo che interessa lo stretto rapporto biologico tra madre e figlio e volta a tutelare la salute e l’integrità fisica della madre e del bambino, nato o nascituro, nell’ambito del rapporto di lavoro.
Tale prospettiva è stata progressivamente superata dalla successiva legislazione e dagli interventi del giudice costituzionale.
A partire dagli anni settanta del secolo scorso si è assistito ad un’evoluzione del concetto stesso di maternità: dalla considerazione della stessa quale mero dato biologico a “luogo delle relazioni affettive da tutelare in nome dell’interesse superiore dell’equilibrio psico-fisico del bambino”.
In particolare, l’articolo 6 della Legge n. 903 del 1977, attribuendo alle lavoratrici che abbiano adottato bambini o che li abbiano ottenuti in affidamento preadottivo la facoltà di avvalersi dell’istituto del congedo di maternità e del relativo trattamento economico, chiarisce come la protezione della maternità prescinda dall’evento fisiologico del parto, per rivolgersi alla tutela dei rapporti affettivi indispensabili per lo sviluppo del bambino, tanto nella famiglia naturale quanto in quella adottiva.
La medesima finalità è stata perseguita tramite il progressivo ampliamento del periodo di astensione obbligatoria post-partum.
Se infatti la Legge n. 1789 del 2 luglio 1929 prevedeva un solo mese di congedo dopo il parto, la successiva Legge n. 860 del 1950 lo estendeva a otto settimane, mentre il vigente Testo unico in materia di sostegno alla maternità e alla paternità protrae il periodo di interdizione dal lavoro, di regola, fino a tre mesi dopo il parto.
Contemporaneamente si è assistito alla progressiva parificazione della situazione giuridica del padre nella condivisione dei diritti e doveri che derivano dalla maternità.
Gli interventi della giurisprudenza costituzionale, in seguito codificati dal legislatore nazionale, hanno progressivamente provveduto a riconoscere al padre i medesimi diritti e oneri connessi alla maternità. Un’importante innovazione della disciplina si è avuta con la Legge 8 marzo 2000 n. 53, la quale ha dato attuazione alla Direttiva CEE n. 34 del 1996. La suddetta Legge si è proposta il fine di sostenere le responsabilità genitoriali, promuovere le pari opportunità e la condivisione delle responsabilità tra donne e uomini. La nuova normativa ha introdotto il principio del riconoscimento per entrambi i genitori, in maniera autonoma e disgiunta, del diritto alla cura della famiglia. In particolare la normativa attuale contempla, accanto ad ipotesi in cui il diritto del padre è “derivato” da quello della madre, come nel caso di astensione obbligatoria, altre fattispecie ove il diritto del padre è “originario”, ovvero svincolato dall’impossibilità per la madre di esercitare il medesimo diritto.
In particolare, l’innovativo strumento del congedo parentale consente ad entrambi i genitori, e fino al compimento dell’ottavo anno di età del minore, di godere di periodi di astensione facoltativa, continuativi o frazionati. La grande novità è che la sospensione del rapporto di lavoro è diventato un diritto sessualmente neutro, non necessariamente collegato all’essere madre, bensì nell’avere figli, naturali o adottivi, dei genitori lavoratori. La suddetta neutralità del congedo parentale svela l’ambizioso obiettivo di riequilibrare le responsabilità familiari tra i due genitori e di ridistribuire i ruoli nella sfera lavorativa.
Tale progressiva modificazione del sistema normativo, il cui impulso determinante è derivato dalla normativa comunitaria, pone il fondamento per una attuazione della tutela della maternità che volge verso la genitorialità.
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Informazioni tesi
Autore: | Stefania Fontana |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2011-12 |
Università: | Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Relazioni di lavoro |
Relatore: | Alberto Levi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 185 |
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