Dante Alighieri e il Profeta Maometto: due mondi lontani, due credo diversi, un solo viaggio
La Divina Commedia viene usualmente correlata da ispirazioni culturali e cristiane del contesto storico del Medioevo latino – europeo. Più insolito è, invece, porre in relazione l’opera dantesca con la cultura arabo-islamica, poiché si correrebbe il rischio, secondo molti illustri pensatori, di minarne l’originalità e la cristianità della forma e dei contenuti.
Queste ricerche “insolite” analizzano propriamente il fenomeno di intertestualità che intercorre tra la Divina Commedia e il racconto dell’Isra wa al miraj (Il viaggio notturno di Maometto) narrato nel Libro della Scala, mediante una comparazione dei due testi e l’analisi degli studi precedentemente effettuati sui relativi contesti storici e socio-culturali. Questi studi hanno il fine di evidenziare come esistano elementi di convergenza tra due culture considerate da sempre opposte e come il punto di contatto si trovi proprio tra i loro massimi rappresentanti: Dante Alighieri e il Profeta dell’Islam.
In ambito islamico si sviluppò storicamente, sulla base di un versetto coranico (XVII,1) una vasta letteratura riguardante il miraj, l’ascensione celeste compiuta dal Profeta Maometto, a cavallo di un alato destriero, sotto la guida dell’arcangelo Gabriele. L’ascensione consente al Profeta la visione dell’abisso infernale, la salita dei sette cieli attraverso una luminosa scala dorata – da cui prende il nome Il libro della Scala che ne racconta la sacra impresa – fino alla visione celestiale di Dio.
Dall’analisi dei testi arabi che narrano l’ascensione del Profeta emergono chiare analogie con la Divina Commedia: le pene inflitte ai dannati nell’Inferno, la suddivisione dei cerchi infernali in relazione al peccato commesso, ma anche la natura immateriale del Paradiso, i cori angelici ed armonie celesti, il ruolo dell’arcangelo Gabriele, guida e intercessore presso Dio, che sembra concentrare in un’unica entità i danteschi Virgilio e Beatrice … E, elemento forse più significativo, le reazioni emotive di Maometto di fronte alla luce Divina, l’offuscarsi della vista, l’incapacità di fornire una descrizione di Dio: tutti aspetti questi che ricordano la narrazione di Dante.
Primo ad accorgersi di tali singolari coincidenze fu l’orientalista Miguel Asìn Palacios, il quale, nel 1919, iniziò a diffondere le proprie idee e congetture e a condurre accurati studi a riguardo. La tesi del Palacios presentava però un punto debole, un anello mancante: l’assenza di un elemento di contatto attestabile tra tali testi arabi e Dante, se non il legame con Brunetto Latini, che fu ambasciatore nella Spagna arabizzata del 1260, alla corte del re di Castiglia Alfonso X il Savio.
Il dibattito sulle ipotetiche connessioni si prolungò per lungo tempo, tra innumerevoli e contrapposti studi, senza che si potesse pervenire ad una conclusione plausibile. Ma come spesso accade, una svolta a tale controversia avvenne in modo inatteso e causale, allorché uno studioso italiano, Enrico Cerulli, scoprì nella Biblioteca Bodleiana di Oxford e in quella Nazionale di Parigi, due codici contenenti le traduzioni in latino e in francese del Libro della Scala tradotte all’epoca da Bonaventura da Siena, dimostrando in tal modo la circolazione del testo in ambito europeo medioevale. Il dibattito fu comunque riacceso anche dopo tale ritrovamento perché – nonostante vari fattori potessero comprovare la conoscenza e la possibile ispirazione di Dante a questo testo islamico – vigeva il timore che, mediante questa probabile influenza estranea al Cristianesimo ed alla tradizione culturale occidentale, venisse in qualche modo minimizzata anche l’importanza dell’opera del Vate fiorentino.
La dantistica attuale, purtroppo, sembra sempre più confinata nell’ambito degli studi della letteratura italiana, e sempre meno interessata a confrontare l’opera dantesca con le diverse e molteplici suggestioni che l’autore potrebbe aver ricevuto da altre fonti.
Gli oppositori alle tesi di Palacios e di Cerulli, in sostanza, vedevano la figura di Dante sminuita da tale eventualità. Perché invece non vedere in ciò, se così fosse, un ulteriore merito di Dante? Egli così non sarebbe più esclusivamente legato alla tradizione religiosa e letteraria europea, ma diventerebbe un Poeta ancor più moderno di ciò che si crede, aperto a nuove culture e nuove influenze, prima e più di noi, uomini emancipati ed eruditi del III millennio.
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Informazioni tesi
Autore: | Silvia Bellocchio |
Tipo: | Diploma di Laurea |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Reggio Calabria |
Facoltà: | Scuola sup. di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori |
Corso: | Traduzione e Interpretazione |
Relatore: | Ibtissame Elgosairi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 74 |
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