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Amenabár e Gondry. L'internazionalità del cinema europeo tra emigrazione e nuova autorialità

I film, la musica, la televisione con i suoi network, la pubblicità, i videoclip, i nuovi format e i telefilm, vanno a delineare un processo di assimilazione mediatica che è solo una delle conseguenze della globalizzazione.
La globalizzazione appunto rischia sempre più di uniformare tutto ai modelli imperanti, al capitalismo e alla mercificazione più volgare. Tuttavia una controtendenza altrettanto incentivata è la riscoperta della genuinità, del ricreare atmosfere originali, insomma del ritorno alle origini, o ad un passato rassicurante in un continuo incalzare di nuovi mercati e nuove culture nell'offerta internazionale, come per avere un punto di riferimento sempre presente.
In questa tesi si è cercato di far luce sull'attività dei registi europei prestati al cinema americano, presi sotto scorta dalle grandi produzioni o dagli attori e i registi statunitensi che si sono innamorati della loro arte pronta a diventare sì prodotto di massa attraverso la proverbiale astuzia produttiva che si traduce con una precisa e non frammentaria preparazione di chi investe nei rischi e nelle potenzialità degli autori interpellati. Si è cercato così di appurare cosa rimane dell'autore all'interno della pressione dell'industria cinematografica e della televisione prendendo in considerazione due odierni esempi brillanti di contaminato cinema d'esportazione, lo spagnolo Alejandro Amenábar e il francese americanizzato Michel Gondry.

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I. L'internazionalità del cinema europeo Stranieri a Hollywood L'emigrazione dei cineasti europei nell'industria cinematografica americana risale alla prima metà del '900 e si può osservare in diverse ondate migratorie, tra le quali le due più importanti si collocano tra la prima e la seconda guerra mondiale. La prima ondata corrisponde alla così detta diaspora mitteleuropea dove il gruppo più considerevole di emigrati era formato da talentuosi registi austro-tedeschi come Josef von Sterberg, Ernst Lubitsch, Friedrich W. Murnau, Ewald A. Dupont, Paul Leni, Edgard G. Ulmer ed Erich von Stroheim (già negli States dal 1909). I flussi migratori a livello mondiale verso l'America influenzano anche le migrazioni artistiche e i maggiori produttori hollywoodiani cercano di approfittarne per avere la collaborazione dei più importanti talenti europei, in particolare per limitare la sostanziale concorrenza della cinematografia tedesca rappresentata dal movimento espressionista e dal lavoro della Ufa (Universum-Film Ag). Tuttavia in questo periodo che cavalca tutti gli anni '20 vediamo tecnici, sceneggiatori, registi e attori provenire da tutta l'Europa, dalla Svizzera con Emil Jannings, la Svezia con Victor Sjöström, Mauritz Stiller e Greta Garbo, l'Italia con Frank Capra (già dal 1903) e Rodolfo Valentino (dal 1914). Dalla Francia Maurice Tourner, Max Linder e Robert Florey, ma anche Jean Renoir, il quale girerà con poco successo film come L'uomo del Sud, 1945 e La donna della spiaggia, 1946. Infine dall'Ungheria Paul Fejòs e non ultimo Michael Curtiz, autore di capolavori come Casablanca (1942). Essi si trasferiscono ad Hollywood per trovare quello che Lubitsch definisce il “vantaggio americano” che si riscontra «negli inauditi mezzi tecnici, nell'impareggiabile sistema degli impianti di illuminazione e nel lavoro fotografico di laboratorio» 1 ovvero in un'organizzazione del lavoro elaborata e programmata nel dettaglio, dove ognuno ha un compito preciso e specializzato volto a rendere più dinamico e leggero il lavoro del regista. I motivi dell'emigrazione sono anche politici e razziali a partire dalla seconda ondata migratoria in concomitanza con la persecuzione anti-semita del nazismo, da alcuni chiamata appunto diaspora hitleriana, di cui i maggiori rappresentanti sono Billy Wilder (collaboratore ed erede del connazionale maestro della commedia Ernst Lubitsch e autore di successi come Viale del tramonto, 1950, A qualcuno piace caldo, 1959 e L'appartamento, 1960), Fritz Lang (il quale non troverà mai la libertà artistica avuta in Germania, ma spaziando fra i generi produrrà comunque successi come i 1 E. Lubitsch, Hollywood: Il paradiso del cinema in Vienna-Berlino-Hollywood. Il cinema della grande emigrazione, a cura di E. Ghezzi, E. Magrelli, P. Pistagnesi e G. Spagnoletti, Venezia, La Biennale, 1981, p. 41 3

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