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Il potere dell'immagine. Tra percezione e produzione.

Al temine del corso di studi in fotografia ho avvertito la necessità di approfondire le mie conoscenze sull’immagine. Ritengo infatti che per un fotografo sia importante capire il motivo per cui oggi la società occidentale sia considerata per certi aspetti la ‘società dell’immagine’ e quali dinamiche hanno portato a questa definizione, comprendendo anche quali implicazioni comporta relazionarsi con essa. Inoltre, conoscendo i meccanismi di produzione e percezione, credo sia possibile uscire dall’analfabetismo dell’immagine tanto temuto da Benjamin e Flusser e avere così la possibilità di mettere un po' di ordine nel caos mediatico a cui questa società è sottoposta quotidianamente.
Considerando la struttura specifica di questo elaborato, nel primo capitolo ho deciso di analizzare la produzione d’immagini in Occidente per determinare come, attraverso la diffusione della tecnologia digitale applicata alla fotografia, essa sia divenuta un rito sociale e come abbia cambiato radicalmente il rapporto tra uomo ed immagine.
Nel secondo capitolo ho cercato di definire l’immagine a livello psicologico, semiologico e filosofico analizzando, tra gli altri, quei fattori di rapporto tra produttore e spettatore di immagini, soffermandomi inoltre sugli aspetti fisiologici intesi come immagini che entrano fisicamente in relazione con l’essere umano.
Nel terzo capitolo ho descritto alcuni esempi pratici di come il potere dell’immagine venga usato per veicolare un’idea e, di conseguenza, per influenzare la società.
Infine, in appendice ho riportato le trascrizioni delle interviste fatte a tre professionisti del settore della comunicazione visiva scelti in base all’ambito in cui maggiormente operano: Virgilio Fidanza (pubblicità), Walter Pescara (reportage) e Carloalberto Treccani (arte).

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CAPITOLO 1 IL RITO SOCIALE DELL’IMMAGINE 1.1 LA CIVILTÀ DELL’IMMAGINE Oggi, l’opinione condivisa è che si stia vivendo nella civiltà dell’immagine, una convinzione derivante dal fatto che ovunque volgiamo il nostro sguardo siamo investiti da superfici ricoperte di immagini. Quella che per l’uomo è un’innata pulsione, il vedere, è sovreccitata, iperstimolata; per questo, la definizione di civiltà dell’immagine in molti casi è accompagnata da un alone di negatività, come se da quest’era si speri di uscirne presto visto questo ‘bombardamento‘ costante dal quale non sappiamo dove, e tante volte come, trovare un riparo. Questa sensazione negativa deriva anche dal fatto che ci sentiamo spesso impreparati, inadeguati, se non addirittura analfabeti, di fronte a molte immagini che vediamo quotidianamente; le immagini sono uscite allo scoperto e non sono più relegate in luoghi specifici dove in passato venivano poste con uno scopo ben preciso. Questa pratica presumeva uno spettatore in qualche modo preparato, un fruitore d’immagine che sapeva cosa l’aspettava: il vedere un’immagine, infatti, aveva uno scopo e un fine dichiarato. È sufficiente pensare, ad esempio, all’arte cristiana e al suo valore catechetico dalle prime catacombe alle cattedrali gotiche. Oggi l’immagine, come detto, esce allo scoperto, cerca nuove superfici poste bene in vista e cerca molto spesso di cogliere lo spettatore di sorpresa. Sono queste le origini dello spaesamento e delle incertezze; abbiamo la sensazione che più vediamo immagini «più 4

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