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Identità e discriminazione

Identità e diversità: due facce di una stessa medaglia. L’obiettivo principale di questo elaborato è tentare di mettere in luce rapporti e conflitti che intercorrono tra queste due varianti dell’essere. Uno dei più grandi problemi del mondo è sempre stato il rifiuto dell’altro, del diverso. L’eccessivo attaccamento a certi sistemi valoriali, idee, convinzioni e pregiudizi porta a generare una mentalità chiusa e un’identità impermeabile alla diversità, con conseguente rigetto, disgusto, intolleranza, odio e addirittura violenza nei confronti di essa. Questo avviene in qualsiasi ambito della vita, sia esso sociale, culturale, religioso, politico, e indebolisce quell’ideale di multiculturalismo e di libertà di pensiero che dovrebbe essere alla base di un mondo veramente moderno e civilizzato.

Il primo capitolo affronterà il processo di formazione dell’identità e il suo incontro con l’alterità. Grazie anche all’ausilio del pensiero e degli scritti di due studiosi quali Amartya Sen e Amin Maalouf, si tenterà di spiegare come l’identità dovrebbe essere configurata come un processo in continuo divenire, e non fermarsi ai pregiudizi e alle convinzioni personali.
Secondo Sen, questo riduzionismo, questa indifferenza per l’altro, genererebbe un’identità solitarista, che trova radici e sostegno nelle teorie filosofiche comunitariste e nella stessa abitudine umana alla classificazione. Quest’ultima riduce persone, culture o paesi ad un solo carattere, annullandone la differenziazione interna. Il vero motore del cambiamento, per Sen, è la libertà di scelta razionale tra diverse alternative.
Maalouf parla, invece, di identità omicide: secondo lui, vi sono state in tutte le epoche persone che hanno ritenuto che vi fosse un solo aspetto fondamentale talmente superiore agli altri da potersi chiamare identità. Se il diverso viene visto come una minaccia per i propri canoni identitari, vi saranno sempre delle situazioni di conflitto senza soluzione.

Nel secondo capitolo verrà analizzato, sotto l’aspetto storico, sociale e psico-pedagogico, il fenomeno del totalitarismo fascista e, soprattutto, nazista.
Hannah Arendt, filosofa e storica tedesca di origine ebraica, ma naturalizzata americana, vedeva il totalitarismo come un processo che faceva leva sulle masse, considerate come il crollo di ogni classe sociale.
Le masse andavano “educate” attraverso l’utilizzo della propaganda, un sistema di diffusione di informazioni e idee fuorvianti che favoriva la guerra psicologica, condizionando attraverso il terrore i comportamenti e le credenze della gente. L’ideologia hitleriana contemplava un ideale di razza superiore, che avrebbe dovuto dominare le altre, definite schiave. La diversità non veniva accettata: omosessuali, testimoni di Geova, comunisti e, in particolare, ebrei, vennero classificati come sub-umani, perseguitati e uccisi brutalmente. Tali concezioni venivano inculcate anche alla gioventù tedesca: istituti, stili di vita e insegnamenti scolastici avevano il solo scopo di controllare le giovani menti e di soffocare ogni tentativo di libera circolazione del pensiero.
L’antisemitismo, l’odio verso gli ebrei, sfociò nell’olocausto nazista. Milioni di ebrei vennero sterminati nei campi di concentramento, strutture che annullavano prima l’identità dell’uomo e poi il suo fisico. Gli uomini vennero ridotti a cose, sfruttati e uccisi senza pietà. Ma di chi è la colpa di tutto ciò? Delle persone che governavano il regime o del popolo tedesco, che rimase inerme di fronte a quanto stava accadendo? Karl Jaspers, filosofo e psichiatra tedesco, provò a rispondere a tali quesiti. Distinguendo quattro tipologie di colpa – giuridica, politica, morale e metafisica – egli poneva la questione della necessità, per ogni soggetto, di riconoscere la propria responsabilità prima di parlare di quella altrui. Jaspers incitava la libera circolazione di idee, il confronto e il diritto di opinione e di pensiero che era venuto a mancare con il regime e la propaganda nazista. Solo tale trasparenza comunicativa poteva ridare alla Germania l’anima che aveva perso con l’ascesa del totalitarismo.

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Identità e discriminazione Tesi di Laurea in Scienze della Comunicazione curriculum in Comunicazione di Massa Relatore: Prof. Marco Milella Candidato: Fabio Mangione – matricola 186649 3 Introduzione Identità e diversità: due facce di una stessa medaglia. L‟obiettivo principale di questo elaborato è tentare di mettere in luce rapporti e conflitti che intercorrono tra queste due varianti dell‟essere. Uno dei più grandi problemi del mondo è sempre stato il rifiuto dell‟altro, del diverso. L‟eccessivo attaccamento a certi sistemi valoriali, idee, convinzioni e pregiudizi porta a generare una mentalità chiusa e un‟identità impermeabile alla diversità, con conseguente rigetto, disgusto, intolleranza, odio e addirittura violenza nei confronti di essa. Questo avviene in qualsiasi ambito della vita, sia esso sociale, culturale, religioso, politico, e indebolisce quell‟ideale di multiculturalismo e di libertà di pensiero che dovrebbe essere alla base di un mondo veramente moderno e civilizzato. Il primo capitolo affronterà il processo di formazione dell‟identità e il suo incontro con l‟alterità. Grazie anche all‟ausilio del pensiero e degli scritti di due studiosi quali Amartya Sen e Amin Maalouf, si tenterà di spiegare come l‟identità dovrebbe essere configurata come un processo in continuo divenire, e non fermarsi ai pregiudizi e alle convinzioni personali. Secondo Sen, questo riduzionismo, questa indifferenza per l‟altro, genererebbe un‟identità solitarista, che trova radici e sostegno nelle teorie filosofiche comunitariste e nella stessa abitudine umana alla classificazione. Quest‟ultima riduce persone, culture o paesi ad un solo carattere, annullandone la differenziazione interna. Il vero motore del cambiamento, per Sen, è la libertà di scelta razionale tra diverse alternative. Maalouf parla, invece, di identità omicide: secondo lui, vi sono state in tutte le epoche persone che hanno ritenuto che vi fosse un solo aspetto fondamentale talmente superiore agli altri da potersi chiamare identità. Se il diverso viene visto come una minaccia per i propri canoni identitari, vi saranno sempre delle situazioni di conflitto senza soluzione.

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