La responsabilià delle multinazionali per violazioni dei diritti umani
All’inizio del lavoro ci si è proposti di tracciare un quadro giuridico ben articolato della tematica concernente la responsabilità civile delle imprese multinazionali.
Per poter inquadrare il senso del lavoro si è reso necessario prendere in considerazione seppur brevemente due aspetti del fenomeno della mondializzazione dell’economia ossia l’espansione delle attività dei grandi gruppi economici a livello globale ed il conseguente sorgere di problemi ed interessi della comunità internazionale circa le attività transnazionali di tali imprese. Dall’analisi effettuata è emerso che, sebbene le imprese siano sempre più spesso coinvolte in gravi abusi, godono tuttora di una sostanziale impunità. Il diritto internazionale classico, infatti, indirizzandosi formalmente ai rapporti tra stati, non offre una sufficiente base giuridica per riconoscere una responsabilità diretta in capo alle imprese; le risposte legislative dei singoli stati in particolare dei paesi in via di sviluppo, destinatari dell’investimento, si sono rilevate inefficaci a controllare il comportamento delle imprese e la maggioranza degli stati di origine, pur disponendo delle competenze tecniche e di un sistema giudiziario adatto a giudicare eventuali violazioni, si sono dimostrati, per una serie di ragioni esaminate, riluttanti a dar vita ad un quadro giuridico di regolamentazione della giurisdizione extraterritoriale. Ciononostante, ad oggi, è proprio l’esercizio dell’home country control a produrre i risultati più significativi nella repressione delle attività illecite delle imprese multinazionali.Nell’intento di dare effettiva attuazione alle responsabilità che incombono sulle imprese in materia di diritti umani si è, infatti, progressivamente consolidata, prevalentemente nei sistemi di common law, una pratica speciale consistente nella promozione di azioni giudiziarie di fronte a corti nazionali, sull’impianto classico della responsabilità civile per fatto illecito. L’attenzione è stata rivolta, in particolare, ai procedimenti giudiziari instauratisi negli Stati Uniti che senza dubbio rappresentano quelli più degni di nota tra tutte le cause promosse contro le compagnie transnazionali. Le ragioni di tale interesse sono state individuate soprattutto nell’esistenza di un atto normativo assente nelle altre giurisdizioni di common law. Ci si riferisce all’ATCA, che, adottato dal congresso statunitense nel lontano 1789, riconosce la competenza giurisdizionale dei tribunali statunitensi su attività illecite poste in essere dalle multinazionali al di fuori del territorio nazionale.
Le potenzialità astrattamente riconducibili al suo esercizio,tuttavia in molti casi non sono state concretamente realizzate. La dottrina anglosassone del forum non conveniens, le dottrine statunitensi dell’Act of State e della Political question,e la complessa struttura delle imprese, che difficilmente consente di imputare l’illecito alla società madre, costituiscono infatti potenti strumenti nelle mani delle imprese per evadere in modo alquanto agevole l’applicazione extraterritoriale della giurisdizione del paese di origine.Nell’ultima parte della trattazione l’attenzione si è concentrata sulle prospettive offerte dalla normativa comunitaria (Convenzione di Bruxelles) al fine di rafforzare la responsabilità delle imprese e sull’unica azione giudiziaria intentata in un paese di civil law contro una multinazionale per violazione dei diritti umani compiute all’estero: si tratta del caso Oruma v. Shell attualmente in attesa di una pronuncia definitiva.
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Informazioni tesi
Autore: | Giovanna Falco |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Napoli - Federico II |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Massimo Iovane |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 138 |
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