Swellfoot the Tyrant di Percy Bysshe Shelley: satira, politica e censura nel teatro georgiano
Con il presente lavoro ho voluto indagare il teatro georgiano partendo da una constatazione paradossale: l’innegabile sviluppo delle tecniche di rappresentazione, le ibridazioni fantasiose di generi e l’aumento del numero degli spettatori non sono fenomeni che hanno avuto luogo nonostante la censura operata dal governo, ma in virtù di questa. Imparare a “dire” senza “parlare” è stata la sfida costante che impresari teatrali, autori e attori hanno saputo raccogliere con le tecniche più disparate: l’improvvisazione, le parole cantate, i gesti. A teatro si è creato un nuovo rapporto di intesa col pubblico, formato da spettatori che dovevano contribuire attivamente alla costruzione del significato partendo dalle molteplici possibilità di lettura che il significante, recitando sotto ai loro occhi, offriva loro.
La regina Carolina è entrata in questo sistema illegittimo di rappresentazione: da un lato visitando i teatri che peroravano la sua causa e osteggiavano il re e i suoi ministri, dall’altro recitando la parte della vittima innocente, della donna umiliata e della madre affranta, per ottenere l’appoggio del maggior numero di persone. D’altro canto, in quanto simbolo del potere ma al contempo esclusa da questo, la regina Carolina ha attirato l’attenzione di chi, come lei, nel sistema di potere stava cercando di entrare. I radicali e i riformisti in particolare hanno intravisto nella richiesta di inclusione di Carolina, nella richiesta di riconoscimento del suo ruolo di sovrana, un riflesso perfetto della loro richiesta di inclusione nel Parlamento. I radicali quindi si sono fatti portavoce della regina, mettendo a sua disposizione il mezzo che andava diffondendosi con una rapidità mai vista prima e che avrebbe, di lì a poco, creato l’ ”opinione pubblica”: la stampa. Inoltre, alcuni tra gli esponenti più in vista del movimento riformatore si sono offerti di scrivere i discorsi della regina, le hanno steso cioè un “copione”, come in una vera e propria rappresentazione teatrale: Carolina, insomma, recita se stessa. A teatro e sulla pagina stampata si è quindi creata l’identità della regina, si è forgiato il consenso. Tuttavia, la teatralità della sua vicenda ha finito per ridurre a melodramma anche l’insieme delle istanze che veicolava: Carolina diventa un personaggio, si annulla nell’esteriorità della sua stessa rappresentazione, e i contenuti reali man mano svaniscono. La sua morte improvvisa e prematura ha poi totalmente annullato ogni pretesa di riforma o cambiamento.
In questo senso, l’affair della regina Carolina mi ha permesso di mostrare una società in cui il teatro e la politica sono continuamente in dialogo, si scambiano definizioni, rappresentazioni, metafore e categorie: lo stesso “illegittimo” è, in origine, termine riferito in politica ad un governo costituitosi tramite usurpazione del potere. Ma la politica entra a teatro anche attraverso l’esercizio della censura, attraverso le rivolte che si scatenano in platea in nome dell’abolizione dei privilegi nobiliari, attraverso la satira più o meno velata di locandine e rappresentazioni. Viceversa, il teatro entra nella politica quando forgia identità –e la regina Carolina qui è emblematica.
In questo scenario, lo sguardo lontano di Percy Bysshe Shelley è duplice: da un lato le vicende della regina gli appaiono un’assurdità, ma dall’altro intravede nei tumulti (di cui legge, ansioso, i resoconti nei giornali), un segnale di svolta. La rivoluzione che lui ama e teme al contempo sembra essere vicina. Questo suo sentore è lo stimolo più incalzante alla produzione letteraria: già a partire dalla strage di Peterloo la sua penna diventa indignata, impaziente ma desiderosa, e crea componimenti che sono un inno alla creazione di un futuro più equo e pacifico, in cui solo l’amore si pone a capo della morale.
Swellfoot the Tyrant è il frutto di una penna desiderosa di creare, ma qui sembra essere consapevole della necessità di distruzione che precede la possibilità di creazione. Infatti la satira è, per tradizione, distruzione curativa, e si presenta come genere paradossale perché distrugge per imitazione, ha bisogno del suo bersaglio per poterlo annientare, si insinua tra le pieghe del suo contenuto per svuotarlo di senso. Swellfoot the Tyrant è il tentativo di Shelley di creare un’opera di satira che possa comunque contenere i semi della rinascita: laddove termina la satira inizia la creazione dell’utopia, che qui rimane però solo abbozzata.
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Informazioni tesi
Autore: | Giulia Legato |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Lingue e Letterature Straniere |
Corso: | Lingue e letterature moderne euroamericane |
Relatore: | Lilla Maria Crisafulli |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 119 |
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