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Televisione e minori in Europa. Analisi e confronto tra i sistemi di tutela di Gran Bretagna, Italia, Norvegia.

Sin dalla sua nascita, la televisione è stata, oltre che fonte di intrattenimento, un mezzo per educare i telespettatori. Con la deregulation avvenuta in tutta Europa negli anni Ottanta e il conseguente avvento delle tv private commerciali, le emittenti hanno abbandonato progressivamente gli intenti pedagogici a favore di programmi volti a catturare il pubblico con contenuti sempre più accattivanti, spesso interrotti da lunghi intervalli pubblicitari. I bambini sono sempre stati considerati un target principale, soprattutto in considerazione del tempo che essi trascorrono in casa, del fascino che il mezzo televisivo esercita nei loro confronti e del fatto che i minori in quanto tali non hanno ancora raggiunto la maturità necessaria per valutare i contenuti dei programmi in modo razionale e distaccato.
Secondo il diritto civile, alla minore età è collegata una condizione giuridica del soggetto motivata da ragioni di particolare protezione. I modi e gli strumenti con i quali viene garantita al minore la sua peculiare protezione nel sistema sono sensibilmente diversi a seconda dell’ambito o del settore di attività nei quali il minore è considerato.
Nonostante la crescente proliferazione di nuovi media, la televisione rimane al primo posto delle pratiche di consumo dei bambini. Secondo l’analisi di Buckingham (in Aroldi, 2003), essi trascorrono oggi molto più tempo tra le mura domestiche rispetto al passato e spesso vengono lasciati soli davanti alla tv, favoriti anche dalla presenza, sempre più diffusa, di un apparecchio televisivo nella propria camera.
Per questi motivi, come sottolinea Aroldi (2003), la sensibilizzazione verso il tema della tutela dei minori si è resa necessaria e, favorita dalla ripresa legislativa degli anni Novanta, ha trovato modo di esprimersi - più o meno efficacemente - , sia a livello comunitario sia sul piano nazionale, traducendosi da una parte in provvedimenti di legge, dall’altra in una fitta rete di interventi normativi a carattere deontologico e autoregolativo. In questo contesto, gli Stati europei hanno saputo sviluppare modelli di tutela diversi in relazione alle caratteristiche del proprio sistema televisivo, alle forme di consumo, alle tecnologie sviluppate e alla propria dimensione socioculturale. Tuttavia, a causa della sua complessità e delicatezza, la materia stenta spesso a trovare una chiara definizione. La difficoltà maggiore rimane quella di bilanciare nel modo giusto le esigenze di protezione dei minori e i diritti di libertà d’espressione delle emittenti; per eccessivo o lascivo intervento, per obbiettivi o premesse sbagliati, le buone intenzione possono infatti tradursi in uno squilibrio dannoso con effetti indesiderati.

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3 1. INTRODUZIONE 1.1 Televisione e tutela dei minori Sin dalla sua nascita, la televisione è stata, oltre che fonte di intrattenimento, un mezzo per educare i telespettatori. Con la deregulation avvenuta in tutta Europa negli anni Ottanta e il conseguente avvento delle tv private commerciali, le emittenti hanno abbandonato progressivamente gli intenti pedagogici a favore di programmi volti a catturare il pubblico con contenuti sempre più accattivanti, spesso interrotti da lunghi intervalli pubblicitari. I bambini sono sempre stati considerati un target principale, soprattutto in considerazione del tempo che essi trascorrono in casa, del fascino che il mezzo televisivo esercita nei loro confronti e del fatto che i minori in quanto tali non hanno ancora raggiunto la maturità necessaria per valutare i contenuti dei programmi in modo razionale e distaccato. Secondo il diritto civile, alla minore età è collegata una condizione giuridica del soggetto motivata da ragioni di particolare protezione. I modi e gli strumenti con i quali viene garantita al minore la sua peculiare protezione nel sistema sono sensibilmente diversi a seconda dell’ambito o del settore di attività nei quali il minore è considerato. Nonostante la crescente proliferazione di nuovi media, la televisione rimane al primo posto delle pratiche di consumo dei bambini. Secondo l’analisi di Buckingham (in Aroldi, 2003), essi trascorrono oggi molto più tempo tra le mura domestiche rispetto al passato e spesso vengono lasciati soli davanti alla tv, favoriti anche dalla presenza, sempre più diffusa, di un apparecchio televisivo nella propria camera. Per questi motivi, come sottolinea Aroldi (2003), la sensibilizzazione verso il tema della tutela dei minori si è resa necessaria e, favorita dalla ripresa legislativa degli anni Novanta, ha trovato modo di esprimersi - più o meno efficacemente - , sia a livello comunitario sia sul piano nazionale, traducendosi da una parte in provvedimenti di legge, dall’altra in una fitta rete di interventi normativi a carattere deontologico e autoregolativo. In questo contesto, gli Stati europei hanno saputo sviluppare modelli di tutela diversi in relazione alle caratteristiche del proprio sistema televisivo, alle forme di consumo, alle tecnologie sviluppate e alla propria dimensione socioculturale. Tuttavia, a causa della sua complessità e delicatezza, la materia stenta spesso a trovare una chiara definizione. La difficoltà maggiore rimane quella di bilanciare nel modo giusto le esigenze di protezione dei minori e i diritti di libertà d’espressione delle emittenti; per eccessivo o lascivo intervento, per obbiettivi o premesse sbagliati, le buone intenzione possono infatti tradursi in uno squilibrio dannoso con effetti indesiderati.

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Parole chiave

censura
codice autoregolamentazione
comunicazione
contenuti televisivi
diritto
fascia protetta
italia
libertà d'espressione
limiti
minori
norvegia
pubblicità
regno unito
tutela
tv
unione europea

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