File sharing e pirateria audiovisiva. Le pratiche di download, le contro-offensive legali, la retorica del furto e le reazioni degli utenti.
La pirateria, intesa come la pratica di creare e distribuire in maniera illegale copie contraffatte di prodotti dell’ingegno di vario tipo (musica, film, giochi, libri), ha radici che partono da lontano, e che ha subito profonde trasformazioni nel corso degli ultimi dieci anni.
Prima c’erano le videocassette e le musicassette: se ne trovavano sulle bancarelle lungo le vie delle grandi città, oppure lungo le spiagge nei mesi estivi. Copertine fotocopiate, artwork riprodotti in maniera grossolana, ma se non si avevano troppe pretese sulla qualità, si poteva ottenere un prodotto appena uscito sul mercato ufficiale a prezzi da occasione. In modo illegale, naturalmente. Si trattava però ancora di una questione che riguardava i venditori ambulanti o la criminalità organizzata: la maggior parte della popolazione era semplice consumatrice occasionale di questi prodotti comprati sulle bancarelle.
Duplicare una videocassetta era operazione lunga e noiosa, che richiedeva peraltro strumenti particolari che non tutti avevano a disposizione, oppure lunghe manovre per collegare due videoregistratori per trasferire i dati da una cassetta a un’altra. Un’operazione riservata solo ad occasioni particolari, che non presentava vantaggi economici e pratici tali da giustificare la fatica e il tempo impiegati. Senza contare che la qualità del video nel passaggio dall’originale alla copia si abbassava notevolmente, a volte rendendo il prodotto addirittura impossibile da fruire.
Per quanto riguarda le musicassette, le cose erano un po’ più semplici: duplicare un’audiocassetta originale richiedeva qualche sforzo in meno rispetto a un Vhs, ma servivano comunque attrezzature che ancora non tutti gli impianti audio possedevano, tanto che per avere a disposizione per il proprio uso le ultime hit del momento generalmente si preferiva registrare in presa diretta le canzoni dalle stazioni radio.
L’epoca del file sharing, della diffusione di massa di prodotti audiovisivi tramite Internet, era ancora ben lontana, anche solo dall’immaginazione. Ci si limitava a passarsi una cassetta tra amici, a prestarsi vicendevolmente qualche film. Il resto era tutto nelle bancarelle e nei borsoni dei venditori di strada, sempre guardati con sospetto.
Poi arrivarono il digitale, i Cd e poi i Dvd, Internet cominciò a diventare un servizio a disposizione di tutti, fino a quando uno studente americano inventò Napster, il primo programma di file sharing della storia. E nulla fu più come prima. Ora film e musica venivano scambiati direttamente tra gli utenti, senza bisogno di intermediari, e a titolo totalmente gratuito: era nato il file sharing. La pirateria online divenne un problema serio da affrontare per le aziende e per gli autori di opere dell’ingegno, che videro improvvisamente le proprie creazioni diffondersi senza controllo sulla rete, circolando tra utenti che iniziarono a scambiarsele tra di loro senza più pagarle. Ecco che allora si rese necessario prendere contromisure, principalmente di due tipi: da una parte, leggi ad hoc che punissero chi rendeva possibile e praticava la pirateria; dall’altra una campagna comunicativa in grado di convincere i file sharer a desistere dalla propria azione. Nel corso di questa trattazione, si cercherà di dimostrare come e perché queste contromisure hanno fallito.
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Informazioni tesi
Autore: | Luca Bortolotti |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2008-09 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Discipline Semiotiche |
Relatore: | Giovanna Cosenza |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 364 |
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