Migranti e salute: l'opera di Tobie Nathan in Francia e primi sviluppi in Italia
Il proposito di questa ricerca è di prendere in considerazione il problema della capacità dei servizi sanitari europei nel dare adeguate risposte ai bisogni e alle richieste degli odierni immigrati provenienti da diverse aree del mondo.
Il problema deriva dal cambiamento che il fenomeno della migrazione sta comportando in questi ultimi decenni in Europa: l’accesso al territorio europeo di grandi correnti migratorie è divenuto un fenomeno 'strutturale' che potrà essere regolamentato ma non arrestato. Diviene importante mutare in nostri modelli tradizionali, poiché efficaci e applicabili solo all’interno di un ristretto orizzonte culturale, il nostro. L’applicazione del modello medico e psichiatrico occidentale al “trattamento” dei disturbi presentati dall’immigrato è caratterizzato dall’impossibilità di instaurare una relazione comunicativa reale, in cui sia sancito pari diritto di coesistenza a diverse concezioni di salute e malattia.
Si evidenzia, quindi, la necessità di modificare la risposta a questo nuovo bisogno sociale, di costruire un saper fare nuovo. L’etnopsichiatria si propone di inquadrare il disturbo o il comportamento del paziente nel contesto della sua specifica cultura di appartenenza nella direzione di una continuità tra psiche e cultura. Inoltre permette di integrare le pratiche convenzionali con competenze alternative che integrino le pratiche proprie della tradizione culturale dell’immigrato (come divinazioni, percorsi salvifici, riti, ecc.) attribuendo a queste ultime uno status di dignità e di esistenza pari alle prime, e favorendo la negoziazione tra le due.
Nella cura dei disturbi esperiti dai migranti, il dispositivo multiplo creato da Nathan, e utilizzato nel Centro Devereux di Parigi, è l’esempio di un utilizzo adeguato e complementare di discipline quali l’etnologia e la psichiatria. L’applicazione di una tale prospettiva implica la partecipazione di un‘equipe multiculturale e plurilinguistica che accolga il paziente, la famiglia e il suo gruppo di riferimento. Il paziente non è più solo portatore di disturbi, ma anche agente attivo e portatore di una cultura da rendere presente e viva. Mediatori, terapeuti e pazienti si confrontano su teorie e pratiche, finendo per individuare l’eziologia più adatta a seconda del contesto culturale introdotto dal paziente.
La pratica di Nathan, per la sua efficacia, è ritenuta da molti un perfetto esempio di clinica etnopsichiatrica utilizzata anche in Italia come modello di riferimento. Qui lo sviluppo dell’approccio etnopsichiatrico è recente a causa della peculiarità della situazione italiana che da paese di emigranti è bruscamente divenuto nel corso degli ultimi quindici anni forte meta di immigrazione. Manca ancora un modello teorico proprio che sia capace di far da guida alle istituzioni nel trattare il problema della salute e della cura degli immigrati. L’Italia, in questo campo, si trova ancora in una fase di emergenza-sperimentazione, anche se esistono, nel campo del privato sociale, Centri e Associazioni che lavorano per offrire all’immigrato una soluzione di cura che rispetti la sua specificità e le proprie logiche culturali. Strutture che però, purtroppo, sono ancora lontane dal modello del complesso dispositivo nathaniano che ha una grande esperienza di migrazioni e migranti alle spalle.
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Informazioni tesi
Autore: | Giulia Valdettaro |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2005-06 |
Università: | Università degli Studi di Padova |
Facoltà: | Psicologia |
Corso: | Scienze psicologiche |
Relatore: | Antonio Marazzi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 51 |
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