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L'educazione in carcere: realtà o utopia?

La tesi si pone tre obiettivi, tra loro correlati: dimostrare la relazione positiva esistente tra dinamiche familiari sfavorevoli e comportamento deviante, evidenziare la valenza negativa dell’istituzione totale sulla personalità dell’individuo, quindi, sulla base dei precedenti enunciati, proporre come strumento educativo un setting pedagogico-riflessivo basato sull’utilizzo della narrativa prodotta dal detenuto.

Il capitolo 1 riporta i contributi di diversi autori i quali, attraverso i loro studi, hanno dimostrato la correlazione tra dinamiche familiari sfavorevoli e comportamento deviante. La prima parte, dedicata ad un’osservazione psicologica, approfondisce i fenomeni legati alla vita affettiva dell’individuo, mentre la seconda parte lascia spazio ad un’esplorazione psicoanalitica che focalizza l’attenzione sui processi inconsci della personalità.

Nel capitolo 2 si affronta il problema del processo di adattamento dell’individuo all’istituzione totale. In modo particolare quanto e come il carcere incide sulla personalità e sulle possibilità di reinserimento sociale. Indispensabile quindi il riferimento alla labeling theory e allo stigma. Il capitolo si conclude cogliendo alcuni nuovi aspetti della nostra società, che sotto il profilo giuridico e sociale stanno tentando di affrontare in maniera più consapevole la relazione reo-vittima. Tra questi merita di essere citata, anche se solo brevemente, una branca della criminologia denominata ‘vittimologia”.

Il titolo del terzo capitolo è palesemente mutuato, non a caso, dall’omonimo libro di Gramsci scritto durante la sua prigionia. L’ipotesi è che il materiale autobiografico e narrativo prodotto dai detenuti durante le lezioni e i laboratori di scrittura creativa possa essere utilizzato per integrare il processo rieducativo dell’individuo recluso. Temi, brevi autobiografie, lettere a familiari, poesie, materiale apparentemente inadeguato e povero, ma proprio perché così poco strutturato ancora più genuino e utilizzabile in un peculiare setting pedagogico-riflessivo, orientato a sostenere e ricomporre le identità spesso frammentate dei detenuti.

L’ipotesi che guida il capitolo 4 è che tramite l’utilizzo di uno specifico setting pedagogico-riflessivo, attraverso specifiche tecniche relazionali e l’utilizzo del materiale narrativo descritto nel precedente capitolo, il docente può aiutare il detenuto a ‘guardare là dove si ha paura di guardare’. Alimenta questa idea l’attenzione sulla necessità di uno spazio di pensiero e di formazione all’interno del carcere, che si può riuscire ad ottenere utilizzando la relazione formativa, peraltro già esistente, che si instaura tra docente/educatore e detenuto. L’intensità dell’investimento emotivo generato da questo tipo di relazione esterna e detenuto diventa strumento per l’accompagnamento ad una speciale riflessione e consapevolezza del proprio vissuto.

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5 Introduzione L‟istituzione carceraria è nella nostra realtà sociale molto discussa ma altrettanto poco conosciuta. Si tratta di una organizzazione complessa in cui operano in stretta interazione tra loro diverse figure professionali il cui lavoro è finalizzato al recupero del detenuto e al suo reinserimento nella società. Il mio lavoro è il frutto delle riflessioni emerse durante il mio tirocinio nel carcere di San Vittore a Milano, riflessioni che attraverso un‟esperienza costruita accanto a coloro che all‟interno della struttura carceraria svolgono la loro professione, sono diventate una concreta proposta di lavoro. Quindi voglio considerare il mio lavoro di laurea, oltre che una interessante lettura sui temi della devianza e del carcere, uno strumento di lavoro per coloro che all‟interno di un‟istituzione totale si occupano del recupero delle persone. La tesi si pone tre obiettivi, tra loro chiaramente correlati: dimostrare la relazione positiva esistente tra dinamiche familiari sfavorevoli e comportamento deviante, evidenziare la valenza negativa dell‟istituzione totale sulla personalità dell‟individuo, quindi, sulla base dei precedenti enunciati, proporre come strumento educativo un setting pedagogico-riflessivo basato sull‟utilizzo della narrativa prodotta dal detenuto. Il capitolo 1 riporta i contributi di diversi autori i quali, attraverso i loro studi, hanno dimostrato la correlazione tra dinamiche familiari sfavorevoli e comportamento deviante. La prima parte, dedicata ad un‟osservazione psicologica, approfondisce i fenomeni legati alla vita affettiva dell‟individuo, mentre la seconda parte lascia spazio ad un‟esplorazione psicoanalitica che focalizza l‟attenzione sui processi inconsci della personalità. Nel capitolo 2 si affronta il problema del processo di adattamento dell‟individuo all‟istituzione totale. In modo particolare quanto e come il carcere incide sulla personalità e sulle possibilità di reinserimento sociale. Indispensabile quindi il riferimento alla

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Informazioni tesi

  Autore: Genoveffa Tripaldi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2005-06
  Università: Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
  Facoltà: Scienze della Formazione
  Corso: Scienze dell'educazione e della formazione
  Relatore: Milena Cannao
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 81

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Parole chiave

autobiografie
carcere
devianza
educatore
educazione
goffman
istituzione totale
labeling theory
lettere
lettere dal carcere
materiale biografico
narrativa
negative capability
pedagogia
setting
stigma
vittimologia

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