La diagnosi di annegamento: vecchie problematiche e nuove prospettive di ricerca
Un tempo usato come “ordalia” per punire gli autori di delitti, quindi come strumento di esecuzione giudiziaria tramite “immersio in culleo”, l’annegamento oggi è un evento soprattutto accidentale, che ha per vittime persone inesperte nel nuoto, o colte da malore durante il bagno o cadute in acqua per disgrazia, in stato di incoscienza o ubriache; l’annegamento non necessariamente avviene in acque profonde, ma anche in raccolte di liquidi poco profonde, tuttavia immergendovi totalmente gli orifizi respiratori. Inoltre, non raramente l’annegamento viene usato con finalità suicida o omicida.
Quindi l’indagine su corpi recuperati in acqua comprende una quota importante dei compiti medico-legali: da un’attenta ispezione della scena del ritrovamento del cadavere, ad un accurato esame autoptico, completati da indagini tossicologiche e di laboratorio. Tuttavia, l’enigma se la vittima sia morta a causa di annegamento o se sia finita in acqua dopo essere morta, spesso non può essere risolto facilmente, in quanto la permanenza in acqua per ore o addirittura giorni, altera notevolmente i normali parametri esaminati dalle procedure autoptiche.
Per questo la diagnosi di annegamento richiede il ricorso a procedure e metodologie particolari, ricercando, ad esempio, markers il più possibilmente specifici e significativi.
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Informazioni tesi
Autore: | Pier Giuseppe Marino |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Perugia |
Facoltà: | Medicina e Chirurgia |
Corso: | Medicina e chirurgia |
Relatore: | Mauro Bacci |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 98 |
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