La risoluzione del contratto e la caparra confirmatoria alla luce delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 2009 n. 553
Con il presente elaborato si sono evidenziati gli istituti che comportano lo scioglimento del contratto; quest'ultimo infatti può avvenire non solo per disfunzioni interne all’accordo ma anche per una scelta delle parti, ad esempio quando abbia ad oggetto l’estinzione di un precedente rapporto contrattuale, possibilità che rientra nella stessa definizione normativa di cui all'art. 1321 c.c.
Dopo una disamina dei casi di risoluzione disciplinati nel Capo XIV del Titolo II, ci si è soffermati in particolare sull'istituto di cui all'art. 1453 c.c. (la risolubilità del contratto per inadempimento) analizzandone i requisiti fondamentali: da un alto, il verificarsi del difetto funzionale del sinallagma allorché una parte non adempia alla sua prestazione (la c.d. imputabilità dell’inadempimento); dall’altro l’importanza dell’adempimento di cui all’art.1455 c.c.
Prima di passare all’analisi della sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 2009 n. 553 avente ad oggetto l'intricata questione circa l'istituto della caparra confirmatoria e la disponibilità dell'effetto risolutorio, si sono evidenziate, per completezza espositiva, le ipotesi di risoluzione di diritto previste dal nostro ordinamento: la diffida ad adempiere di cui all'art'1454 c.c.; il termine essenziale disciplinato all'art' 1457 c.c. ed infine la pattuizione apposta al contratto dove si prevede che l’inesecuzione di una specifica obbligazione secondo le convenute modalità cagioni la risoluzione dello stesso ( art. 1456 c.c. la clausola risolutiva espressa).
Con la sentenza sopra cit. si definiscono i rapporti tra i differenti rimedi previsti dall'art. 1385 c.c.
Il recesso di impugnazione previsto dall'art. 1385 c.c. implica – come la risoluzione – un inadempimento grave e imputabile al debitore; il recedente, come esposto nei precedenti paragrafi del presente elaborato, è legittimato a ritenere la caparra ricevuta o ad esigere il doppio di quella data senza l'onere di provare il danno subito in conseguenza dell’inadempimento; diversamente se sceglie per l'esecuzione o la risoluzione del contratto il creditore ottiene il risarcimento solo nei limiti in cui riesca a dimostrare il pregiudizio subito. Non si può escludere, infatti, che il contraente fedele abbia subito un danno superiore all'importo della caparra, e sia in grado di provarlo: la legge gli consente di domandare la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno, che viene quantificato in base ai criteri ordinari (artt. 1223 ss. c.c.).
Nel concreto può accadere (come nel caso da cui è sorta l’occasione per l’intervento delle Sezioni Unite) che la condotta sostanziale e processuale del contraente deluso comporti una integrazione dei rimedi che l’art. 1385 c.c tiene distinti; tale prassi è stata in parte resa possibile dalla stessa giurisprudenza della Cassazione la quale fino all’intervento delle Sezioni Unite cit. non ha saputo dare risposte univoche su due principali questioni: se la ritenzione della caparra sia compatibile con la risoluzione del contratto ovvero abbia come presupposto indefettibile il recesso e su quali siano i reali rapporti tra la ritenzione della caparra ed il risarcimento del danno.
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Informazioni tesi
Autore: | Sofia Baccino |
Tipo: | Tesi di Specializzazione/Perfezionamento |
Specializzazione in | diritto civile |
Anno: | 2008 |
Docente/Relatore: | Andrea D'Angelo |
Istituito da: | Università degli studi di Genova |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 68 |
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