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Fondamenti educativi e modelli pedagogici femminili a Roma

Parlare di una storia dalla connotazione educativa nell’antica Roma potrebbe apparire una scelta azzardata, in quanto in quell’epoca la pedagogia non si era certamente ancora affermata come di scienza.
Eppure “quel lontanissimo passato ci sta, per alcuni aspetti, davanti come una sfida a ripensare modelli di pensiero, di comunicazione, di formazione” .
In fondo, riflessioni e preoccupazioni di carattere educativo erano fortemente presenti e tutta la romanità può dirsi generalmente intrisa di caratteristiche e valenze pedagogiche. Ciò può essere giustificato dal fatto che nel mondo romano era più che mai necessario fornire un’impostazione educativa che potesse orientare tutti gli aspetti della vita nella città, ragion per cui è più giusto parlare di modelli pedagogici. Tali modelli, infatti, servivano come riferimento per regolare il modus vivendi ideale richiesto a ciascun cittadino a seconda del suo ruolo sociale. C’era, dunque, un criterio educativo specifico nel caso esso fosse rivolto ad un uomo libero, ad uno schiavo, ad una donna, ad un religioso, ecc.
“A Roma religione, diritto e politica sono sempre in posizione fortemente contigua e sostenuti da una educazione diffusa e continuata –
che oggi chiameremmo lifelong learning - che ne fu insieme lo strumento e l’espressione” .
Può essere utile ricordare che l’orientamento di genere, cardine di ogni differenza, era sancito già a partire da due divinità basilari: Ianus Curatius e Iuno Sororia. Se il primo è il dio che soprintende l’ingresso nelle curie, Iuno è la dea che soprintende alla prima crescita dei seni alle bambine e le protegge. Tale ripartizione non può che corrispondere ai differenti compiti assegnati ai due sessi nella città, ossia la produzione della guerra e della politica per i maschi, la riproduzione fisica per le donne. I giovani, per essere ammessi nella comunità venivano appunto fatti passare sotto i loro rispettivi altari .
Affrontare un discorso sull’educazione romana significherà allora partire proprio dai bambini e dalle bambine, per poi passare alla scuola e ai maestri, al ruolo materno, nonché all’educazione religiosa. Sarà inoltre necessario fare riferimento ai modelli pedagogici ed al ruolo storico imposti alle donne romane.
La trattazione si apre con l’analisi dei punti salienti dell’antica educazione romana, in un breve excursus della sua evoluzione da un impianto arcaico legato alle pratiche e ai saperi agricoli, all’adozione della paideia greca. Tratta inoltre della condizione dell’infanzia in epoca romana, con un breve riferimento alla scuola primaria, legata all’ambigua figura del ludi magister. Il capitolo si chiude con un breve riferimento a Quintiliano e alla sua opera maggiore, la quale può essere letta come un vero e proprio trattato di pedagogia.
Il capitolo seguente, intitolato “La pedagogia al femminile”, può dirsi centrale in questa trattazione, in quanto analizza i principali modelli pedagogici femminili e il ruolo sociale delle donne, ed in esso sono citati alcuni esempi illustri ed emblematici della condizione muliebre, nonché i suoi antimodelli. Il punto di partenza di un’analisi di questo tipo impone di tenere presente i cambiamenti che hanno investito la storia femminile di Roma, specificatamente nel passaggio dall’età repubblicana all’Impero. In questo passaggio cruciale, la figura femminile paradigmatica è certamente Livia, con la storia della sua vita, che è, a suo modo, una storia di emancipazione. Viene qui infine mostrato l’intimo legame tra le svolte storiche di Roma e alcune importanti figure femminili, considerate custodi e garanti di virtù dalla profonda valenza educativa.
Nel capitolo conclusivo, infine, viene trattato il tema dell’educazione religiosa, punto cardine dell’intero sistema educativo dell’antica Roma. Difatti, in una civiltà in cui valori civici, familiari e spirituali sono profondamente intrecciati, la religione si pone in una posizione di spicco; la sua educazione è necessariamente rigida e precisa, trattandosi di un credo essenzialmente cultuale e rituale, fondato su un radicato formalismo. Il carattere fondamentalmente sociale di questa religione, faceva si che la sua educazione fosse estesa a tutti, non solo alle caste sacerdotali e ai pater familias, ma anche alle matrone e soprattutto ai bambini, i futuri cives.

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2 Introduzione Parlare di una storia dalla connotazione educativa nell’antica Roma potrebbe apparire una scelta azzardata, in quanto in quell’epoca la pedagogia non si era certamente ancora affermata come di scienza. Eppure “quel lontanissimo passato ci sta, per alcuni aspetti, davanti come una sfida a ripensare modelli di pensiero, di comunicazione, di formazione” 1 . In fondo, riflessioni e preoccupazioni di carattere educativo erano fortemente presenti e tutta la romanità può dirsi generalmente intrisa di caratteristiche e valenze pedagogiche. Ciò può essere giustificato dal fatto che nel mondo romano era più che mai necessario fornire un’impostazione educativa che potesse orientare tutti gli aspetti della vita nella città, ragion per cui è più giusto parlare di modelli pedagogici. Tali modelli, infatti, servivano come riferimento per regolare il modus vivendi ideale richiesto a ciascun cittadino a seconda del suo ruolo sociale. C’era, dunque, un criterio educativo specifico nel caso esso fosse rivolto ad un uomo libero, ad uno schiavo, ad una donna, ad un religioso, ecc. “A Roma religione, diritto e politica sono sempre in posizione fortemente contigua e sostenuti da una educazione diffusa e continuata – che oggi chiameremmo lifelong learning - che ne fu insieme lo strumento e l’espressione” 2 . 1 F. Cambi, Manuale di storia della pedagogia, Laterza, Bari 2003, p. 30. 2 R. Frasca, La donna e il matrimonio, in S. Ulivieri (a cura di), Educazione al femminile. Una storia da scoprire, Guerini Scientifica, Milano 2007, p.59.

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