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La sperimentazione sugli embrioni soprannumerari

Il presente lavoro è volto ad approfondire la normativa italiana in tema di sperimentazione sugli embrioni in soprannumero e ad analizzarne la ratio alla luce dei diritti patrimoniali e “personali” che l’ordinamento giuridico riconosce all’embrione.
Il divieto di “qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano” sancito dalla normativa in tema di P.M.A. ed, in particolare, dall’art. 13 della legge 40/2004, è coerente con il diritto alla vita, alla salute ed all’identità personale di cui beneficia – seppur in diverso grado rispetto al soggetto già nato – il concepito.
Tale sperimentazione (sia essa terapeutica o non terapeutica) comporta in ogni caso un intervento invasivo sull’embrione sia che si attui con la somministrazione di una sostanza, sia che consista in un intervento chirurgico o comunque manipolatorio.
È consentita, al contrario, la ricerca clinica e sperimentale “a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute ed allo sviluppo dell’embrione stesso, e qualora non siano disponibili metodologie alternative” (art. 13 comma 2 della legge 40/2004).
Viene chiarita la portata di quest’ultima norma, argomentando come non appaia conforme alla ratio legis l’interpretazione – sostenuta anche da autorevole dottrina – che ritrova nella disposizione di cui comma 2 dell’art. 13 la legittimazione della diagnosi genetica pre-impianto.
Viene rivolta, poi, l'attenzione alle più significative esperienze legislative europee con lo scopo di approfondire la differenza tra le legislazioni assai liberali della Spagna e della Gran Bretagna e le normative ben più rigide di Paesi come la Svezia, la Norvegia, l’Austria e la Francia, facendo un parallelo con la normativa interna italiana.
Si sono scelti tre modelli di riferimento emblematici delle tre fondamentali forme di disciplina in merito alla sperimentazione sugli embrioni. Tra le legislazioni rigide in materia – oltre alla normativa italiana – si rileva la legge tedesca sulla protezione degli embrioni del 13 dicembre 1990, la quale all’art. 1 vieta che la fecondazione artificiale sia posta in essere per uno scopo diverso da quello della gravidanza della donna dalla quale l’ovulo proviene. Suddetta legge contiene delle norme analoghe a quelle contenute nella legge italiana 40/2004: non è consentita, infatti, la creazione di embrioni a scopi di ricerca, né la ricerca su cellule staminali derivate da embrioni.
Peculiarità della legge tedesca è, l’identica tutela assegnata all’embrione ed alle cellule staminali totipotenti: l’unica possibilità di ricerca non esplicitamente vietata è quella condotta su cellule staminali pluripotenti importate dell’estero, derivanti da embrioni soprannumerari.
Agli antipodi del modello restrittivo italo-tedesco c’è quello liberale inglese: la Human fertilisation and embriology Act del 1990 permette, infatti, oltre la sperimentazione sugli embrioni in soprannumero, anche la creazione di embrioni da destinare alla ricerca scientifica, previa autorizzazione di un’apposita Authority. È prevista, inoltre, la formazione di embrioni attraverso la clonazione.
La tendenza, per certi aspetti, eccessivamente permissiva della legislazione inglese è peraltro testimoniata dai recenti dibattiti in merito alla creazione di ibridi a fini di ricerca ed alla manipolazione del DNA degli embrioni.
Su posizioni più “bilanciate” si collocano, infine, l’ordinamento francese e quello svizzero, recentemente interessati da un significativo cambiamento della propria politica in merito alla ricerca sugli embrioni, mettendosi così in linea con quei Paesi europei (come Belgio, Olanda e Regno Unito) che hanno già approvato leggi che permettono l’uso di embrioni a fini di ricerca.
In entrambi gli ordinamenti si è passati da una legislazione restrittiva, vicina alla tradizione tedesca, ad una legislazione che si può definire “bilanciata”: una via di mezzo tra il divieto assoluto di ricerca sugli embrioni (è il caso della Germania ed in particolare dell’Italia) e la possibilità di produrre embrioni da destinare alla ricerca (è il caso del Regno Unito).

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1 INTRODUZIONE Da un punto di vista morale il problema del destino degli embrioni soprannumerari è destinato a non avere soluzione 1 : infatti, laddove gli embrioni non vengano richiesti dalla coppia che li ha generati, ogni altro possibile utilizzo degli stessi manifesta delle riserve sul piano etico. Da un punto di vista giuridico, nonostante questo fosse un problema delicato e che necessitava di una pronta – anche se difficile – soluzione, il legislatore italiano ha tardato a prendere una decisione in merito; prima del 2004, l’assenza di una normativa specifica che disciplinasse la procreazione medicalmente assistita – e, di conseguenza, il destino degli embrioni creati in vitro – ha dimostrato la pericolosità del c.d. “Far West procreatico” 2 . Il “vuoto legislativo” precedente alla legge 40/2004 ha, infatti, tacitamente consentito l’utilizzo indiscriminato degli embrioni in soprannumero, uso che l’attuale normativa esplicitamente vieta. Il merito della legge 40/2004 è quello di aver disciplinato in maniera organica la procreazione medicalmente assistita, fissando dei limiti tassativi all’azione dell’uomo, nel rispetto dei principi di diritto naturale e di quello positivo consacrato dalla Carta costituzionale 3 . 1 Cfr. E SGRECCIA, L’embrione umano nella fase preimpianto. Aspetti scientifici e considerazioni bioetiche, Città del Vaticano, 2007, pp. 308-320. V. anche il parere dello stesso autore in merito alla sperimentazione sugli embrioni umani in Appendice del presente lavoro. 2 Cfr. C. CASINI, Quale procreazione artificiale?, Studi Cattolici, giugno 1998, p. 406. 3 Cfr. V. FRANCO, Bioetica e procreazione assistita, Roma, 2005, p. 117.

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