Il sistema di misurazione dei rischi bancari secondo le nuove disposizioni ICAAP
Nell'attuale contesto economico globale le imprese di qualunque settore, per affrontare i ritmi di crescita esponenziali della concorrenza, devono essere costantemente in continua evoluzione alla ricerca di nuovi strumenti, nuove tecnologie, nonché nuovi modelli di business per resistere alle pressioni dei loro competitor. In uno scenario così complesso, un ruolo dominante viene svolto dall’attività degli enti creditizi i quali per loro natura e sotto certe condizioni permettono l’accesso al credito, che è essenziale affinché si possano creare, gestire e sviluppare attività economiche.
Pertanto se da un lato la globalizzazione apre opportunità significative e profittevoli per gli istituti di credito, dall’altro lato li espone però ad un aumento considerevole dei rischi da affrontare. Tali rischi devono essere accuratamente individuati, misurati e gestiti attraverso apposite metodologie, indicate in molti casi dall’autorità di vigilanza, al fine di calcolare un ammontare di capitale necessario alla copertura di eventuali perdite derivanti dai rischi assunti.
La normativa comunitaria in materia di adeguatezza patrimoniale delle banche e delle società di intermediazione finanziaria (c.d. Nuovo Accordo di Basilea sul Capitale), prevede l’articolazione della disciplina degli intermediari finanziari su tre pilastri, che riguardano rispettivamente:
1. Il calcolo dei requisiti patrimoniali minimi;
2. Il processo di controllo prudenziale;
3. La disciplina di mercato;
L’argomento analizzato nella presente trattazione riguarderà la disciplina del Secondo Pilastro, vale a dire il processo di controllo prudenziale.
Obiettivo primario del processo di controllo prudenziale è quello di affiancare alle regole quantitative dettate dal Primo Pilastro, un processo di determinazione del requisito patrimoniale, meglio detto “adeguatezza patrimoniale”, che comprende delle variabili qualitative e organizzative nell’ambito dei sistemi di controllo dei rischi delle banche oltre che, la presenza di altre categorie di rischi non ricompresi nel Primo Pilastro. L’inclusione di queste categorie di rischi, che differiscono dai rischi tipici di natura finanziaria, amplia e rafforza la logica di controllo dell’esposizione al rischio, perseguita dalle autorità di vigilanza.
Prima dell’entrata in vigore di Basilea 2, la Banca d’Italia dovendosi attenere alla normativa comunitaria, è stata alle prese con un ulteriore novità normativa dando attuazione così alle “Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche” con la Circolare n. 263 del 27 dicembre 2006. Tale circolare rappresenta il principale riferimento per la corretta applicazione della nuova disciplina prudenziale in Italia.
La Banca d’Italia ha infatti radicalmente rivisto la normativa sulle disposizioni di vigilanza riguardanti i rapporti con le aziende di credito.
Se fino allora lo schema di supervisione prudenziale utilizzato dalla Banca d’Italia per vigilare l’attività bancaria, principalmente a garanzia dei depositanti e della stabilità finanziaria, era stato quello tipico dell’ispezione, con le nuove disposizioni cambia completamente la prospettiva. Non è più la Banca d’Italia a fornire modelli di controllo delle banche, ma è la banca stessa a definire i suoi rischi e a creare contemporaneamente un’organizzazione ed un sistema di processi in grado di ridurli, individuando nel contempo un patrimonio tale da assicurarne la copertura.
L’autorità di vigilanza si limita a valutare la correttezza della misurazione dei rischi operata dalla banca e la congruità dei processi posti in essere per garantire un livello patrimoniale sufficiente a fronteggiarli, pure nel caso si verifichino eventi avversi di carattere eccezionale. Inoltre essa interviene qualora dall’analisi complessiva emergano profili di anomalia richiedendo agli operatori l’adozione di idonee misure correttive, di natura organizzativa e/o patrimoniale.
La nuova struttura di regolamentazione prudenziale, pertanto pone il management bancario di fronte a nuove molteplici sfide, e funge da stimolo per la creazione e lo sviluppo di prassi gestionali nonché di tecniche di misurazione dei rischi, anche in ragione dei possibili risparmi patrimoniali. Tale nuovo schema sembrerebbe quindi assicurare una dotazione patrimoniale più strettamente commisurata all’effettivo grado di esposizione ai rischi, perseguendo contemporaneamente con efficacia gli obiettivi sanciti dall’art 5 TUB.
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Informazioni tesi
Autore: | Alessandro Nicita |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2008-09 |
Università: | Università degli Studi di Catania |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Economia aziendale |
Relatore: | Sebastiano Mazzù |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 45 |
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