La repressione della violazione dei diritti umani nei conflitti armati
Il tema della tutela dei diritti umani nei conflitti armati, come è noto, non ha un’origine recente: pur risalendo ad epoche antichissime esso si è particolarmente affermato nella coscienza comune nel corso del ventunesimo secolo, a seguito delle atrocità commesse durante la Seconda Guerra Mondiale e sotto i regimi totalitari.
Se, però, durante l’epoca della Guerra Fredda l’equilibrio del terrore instaurato dalle due superpotenze aveva contribuito a contenere il potenziale sviluppo di crisi belliche, sia a livello regionale che internazionale, con la caduta dell’Unione Sovietica tutto ciò è venuto meno.
Il primo esempio lo si è avuto nel 1991 con lo scoppio della crisi del Golfo, a seguito della quale sembrava essersi instaurato un nuovo ordine umanitario internazionale: infatti per la prima volta il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha dato un apporto concreto contribuendo alla risoluzione del problema creatosi, attraverso l’adozione una serie di atti vincolanti per gli Stati parti.
Ma proprio nel momento in cui sembrava essersi affermata una nuova era fondata sulla pace e sul rispetto dei diritti umani, altre due crisi, una in ex Iugoslavia e l’altra in Ruanda, facevano cadere ogni speranza in merito: le terribili immagini divulgate attraverso i mezzi di comunicazione di massa confermavano che molte delle atrocità commesse durante il secondo conflitto mondiale non costituivano un semplice passato di cui vergognarsi e da dimenticare, ma continuavano ad essere perpetrate con una intensità addirittura maggiore. L’attuale conflitto, scoppiato nell’aprile 1999 e non ancora risolto, fra il Kosovo e la Serbia è un’amara conferma di tutto ciò.
I quesiti che a questo punto si pongono sono tanti: quali sono stati i progressi in materia? Qual è la collocazione di tali diritti nell’ordinamento internazionale? Esiste una giustizia globale?
La Comunità Internazionale sotto questo punto di vista ha fatto numerosi passi avanti cercando non solo di garantire tali diritti, sia sotto il profilo del diritto internazionale pattizio che consuetudinario, ma anche di fare in modo che la loro applicazione sia assicurata attraverso l’istituzione di un organo penale internazionale permanente, ovverosia di un organo che non costituisca un caso isolato e non rischi di essere l’espressione del giudizio dei vincitori sui vinti (come in passato è già accaduto), ma che sia realmente imparziale e continuamente in grado di agire.
Il problema, però, che a tal proposito si pone è quello di evitare che quest’ultima istituzione non sia riconosciuta dall’intera Comunità Internazionale affinché la sua sia un’azione dotata di reale efficacia: il rischio che si corre, infatti, è quello di creare un sistema di garanzia di giustizia universale su un piano nominale e non sostanziale.
Molti sono i dubbi non ancora risolti; il già menzionato conflitto in Kosovo dimostra come sia necessario fare ulteriore chiarezza ancora su tanti punti oscuri: a tutt’oggi si discute sulla legittimità dell’intervento armato della NATO senza una preventiva autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, su quali saranno le conseguenze sul piano della giustizia internazionale derivanti dagli incidenti che hanno causato la morte di centinaia di civili, ecc.
L’unica certezza esistente è che la conclusione della battaglia per una definitiva conquista dei diritti umani è ancora lontana.
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Informazioni tesi
Autore: | Leonardo Cosmai |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 1998-99 |
Università: | Università degli Studi di Bari |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Scienze Politiche |
Relatore: | Gabriella Carella |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 152 |
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