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La civilizzazione a ritroso - La questione congolese e le sue ripercussioni in Italia

Questa tesi ripercorre nella sua prima parte la storia dello Stato Indipendente del Congo (attuale Repubblica Democratica del Congo), immenso territorio africano che fra il 1885 e il 1908 fu un possedimento personale del Re Leopoldo II del Belgio. Esso fu il teatro di uno dei più spietati sistemi di sfruttamento economico della storia, il primo grande “crimine contro l’umanità” del XX secolo: secondo studiosi autorevoli sotto il dominio di Leopoldo II la popolazione del Congo si dimezzò. Ma questa immensa tragedia ebbe almeno una conseguenza positiva: portò infatti alla nascita della prima grande campagna umanitaria dell’era contemporanea.
Il sovrano belga gestì il nuovo Stato Indipendente del Congo con la mentalità non di un uomo politico ma di un capitalista-speculatore spietato. Il “sistema” si basava su tre pilastri: la negazione di ogni diritto degli abitanti sulle terre (proclamate “terre vacanti” e sfruttate dallo Stato o da compagnie concessionarie), il lavoro forzato e la presenza di una massiccia forza militare (la Force Publique) che teneva la popolazione in una situazione di terrore costante. Dopo alcuni tentativi di denunciare il dramma umanitario che non riuscirono ad avere un’eco di massa la protesta fece un salto di qualità per merito del giornalista inglese Edmund Dene Morel. Nel 1903 in seguito alla pressioni da parte delle associazioni umanitarie, il governo inglese decise di affidare al suo console in Congo, Roger Casement, il compito di ispezionare l’interno del paese. Il Rapporto che Casement preparò confermava pienamente le accuse di Morel ed ebbe un’enorme eco. Quando nel 1905 le accuse che provenivano dall’Inghilterra furono confermate da una Commissione d’Inchiesta nominata e stipendiata dallo stesso Leopoldo II, non fu più possibile negare la verità. Il Parlamento belga pretese la trasformazione del Congo in una colonia ordinaria sottoposta alla sua sovranità. Il sistema del terrore venne smantellato gradualmente e il nuovo regime si impegnò a migliorare le condizioni di vita degli africani, tenendoli però in una condizione di marcata subordinazione.
Se questa storia è ben nota, almeno agli specialisti, molto meno conosciuto è il coinvolgimento dell’Italia nella questione del Congo, oggetto della seconda parte di questa tesi. A partire dagli ultimi anni dell’Ottocento i rapporti tra Stato Indipendente del Congo e Italia avevano preso quasi un carattere di special relationship per la presenza di un gran numero di funzionari di origine italiana nel paese, uno dei quali, il Barone Giacomo Nisco, ricopriva la più alta carica della magistratura. Alla fine del 1902, quando in Inghilterra le polemiche sulla situazione umanitaria cominciavano a emergere, le autorità del Congo chiesero al nostro governo la possibilità di impiegare per un termine triennale ufficiali in servizio attivo. In cambio avrebbero concesso a coloni italiani una zona nella regione del Lago Kivu, ben nota per il suo clima temperato. Il governo italiano accettò, decidendo però di far precedere l’invio degli emigranti da quello di un esperto, il capitano medico di marina Eduardo Baccari, con l’incarico di esaminare la regione del Kivu. Gli ufficiali italiani partirono invece già a partire dal marzo 1903 per il Congo e non tardarono a rendersi conto che la realtà era molto diversa dai loro sogni di avventure esotiche. Per nascondere lo scontento che dilagava tra i nuovi arrivati e promuovere il progetto di colonizzazione del Kivu il console dello Stato del Congo Giovanni Elia lanciò una virulenta campagna sui giornali italiani, arrivando a corromperne alcuni.
Ma anche Eduardo Baccari, a cui le autorità italiane avevano affidato gli incarichi aggiuntivi di riferire sulla condizione degli ufficiali italiani e di indagare sulle accuse inglesi, cominciò a denunciare il sistema di sfruttamento e a chiedere che gli ufficiali italiani venissero richiamati. Il governo cercò di mettere tutto a tacere ma Baccari fece pubblicare nel maggio 1905 un articolo per premere per la pubblicazione della sua relazione finale, mentre Il Corriere della Sera presentava le conclusioni di una vasta inchiesta condotta tra gli ufficiali italiani.
Lo scandalo scoppiò ma il ministro degli esteri Tommaso Tittoni ben più interessato all’espansionismo coloniale che ai problemi umanitari, teneva a mantenere buoni rapporti con lo Stato del Congo perché sperava di ottenere lucrative concessioni per l’Italia. L’invio degli ufficiali italiani cessò, ma quelli già in servizio in Congo non vennero ritirati. Ma i rapporti con il regime di Leopoldo erano ormai compromessi, e, dopo i progetti di penetrazione commerciale, fallì anche la speranza di Tittoni di profittare di un’eventuale spartizione del Congo.

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4 PREMESSA La storia di questa tesi è complessa ed esige qualche spiegazione. Avevo scelto di scrivere sul Congo di Leopoldo II e sulla grande campagna umanitaria di Edmund Dene Morel dopo aver letto King Leopold’s Ghost di Adam Hochschild, un libro che mi aveva affascinata. Nel libro di Hochschild si leggeva a un certo punto questa frase: “In Italia uno dei critici di Leopoldo suscitò un vespaio tale che Giovanni Elia, il console dello Stato del Congo, lo sfidò a duello”. Si faceva anche allusione alla corruzione di due giornali italiani, a un’inchiesta del Corriere della Sera e a una missione condotta dal console italiano in Congo sul modello di quella del console britannico Roger Casement che aveva svelato al mondo le atrocità del regime di Leopoldo II. Incuriosita da queste sporadiche ma stuzzicanti notizie, decisi, per rendere la tesi più originale, che un capitolo sarebbe stato dedicato all’Italia. Pensavo in effetti che avrei trovato qualche articolo di giornale o poco più, e avrei scritto al massimo una ventina di pagine. Invece, a poco a poco, una storia enorme e complessa - e in gran parte tutta da scrivere - ha cominciato a venire alla luce. E’ la storia di come Leopoldo II abbia tentato di trasformare l’Italia in un’alleata potenziale nella questione del Congo e i suoi cittadini in complici dei suoi crimini; e di come questo progetto sia fallito, non grazie al nostro governo, che oscillava tra l’ignoranza ingenua e il machiavellismo dalla vista corta, ma grazie al coraggio di alcune persone isolate. Primo fra tutti il capitano medico di marina Eduardo Baccari, un personaggio il cui contributo alla storia del Congo viene troppo spesso dimenticato. Ma, ciò che è più grave, dal punto di vista della verità storica e umana, o più stimolante dal mio punto di vista, è che i pochi che si sono occupati in modo specifico di questa strana vicenda lo hanno fatto con il deliberato proposito di distorcere e deformare i fatti. Posso dirlo con certezza dopo la mia troppo breve visita all’Archivio Storico del Ministero degli Esteri e il rapido confronto che ho potuto fare tra i rapporti originali di Eduardo Baccari al Commissario per l’Emigrazione Luigi Bodio e la versione edulcorata e fasulla che dà del suo viaggio l’unico libro (per quanto sia a mia conoscenza) espressamente dedicato allo studio dei rapporti tra il Congo di Leopoldo II e l’Italia: Les Relations entre l’Etat Indépendent du Congo et l’Italie di Liane Ranieri, pubblicato nel 1957 e usato come fonte anche in alcune opere recenti e tutt’altro che tenere con lo Stato del Congo. E’ stato così – e a causa della mia tendenza a scrivere in modo torrenziale - che una tesi che doveva essere dedicata alla storia dello Stato Libero del Congo in generale si è

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colonialismo
congo
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