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Storia, crollo e ristrutturazione del debito estero argentino

Il presente lavoro analizza l’evoluzione recente del debito estero argentino con l’obiettivo di studiare la storia e le dinamiche che hanno condotto il Paese latino-americano alla crisi del dicembre 2001 e alla successiva ristrutturazione.
L’elaborato inquadra l’indebitamento nella globalizzazione finanziaria analizzando i fattori chiave della crescita imponente del debito; a tale proposito è posto l’accento sul ruolo svolto dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale. Questi organismi hanno imposto fin da subito privatizzazioni, deregolamentazioni, tagli alla spesa pubblica e la svalutazione della moneta perseguendo il fine di aggiustamento del bilancio interno per favorire l’entrata di capitali privati esteri attratti dalla possibilità di un consistente profitto. L’analisi empirica dimostrò, però, il fallimento delle sue politiche, infatti, la quasi totalità dei paesi che hanno eseguito in maniera ortodossa le politiche consigliata si sono ritrovate con un debito enorme e l’economia disastrata. La volontà di ricercare le cause del fallimento argentino ci porta all’analisi delle politiche macroeconomiche attuate negli anni ottanta e novanta; nella prima fase d’indebitamento è perseguito lo scopo di una crescita economica, ma la presenza simultanea di deficit strutturali, aggravarono un’inflazione già endemica al sistema. Dal 1989 si ebbe un fenomeno iperinflazionista, per combattere il quale nel 1991, si attuò il Piano Convertibilità che prevedeva un cambio fisso tra il peso e il dollaro stabilito per legge. La moneta nazionale fu sopravvalutata, i disequilibri indotti da tale scelta rimarranno in incubazione fino al 1998, quando l’Argentina, segnata da un’apparente stabilità macroeconomica, subì gli shock delle crisi finanziarie registrate nel sud est asiatico e in Russia che determinarono un deflusso di capitali e un incremento dei tassi d’interesse. Il settore pubblico cadde in una spirale debitoria che lo costrinse ad indebitarsi ulteriormente ed a tassi d’interessi sempre maggiori. Gli squilibri fiscali e della bilancia corrente, uniti all’incremento degli interessi e al deflusso di capitali determinarono la crisi del 2001. Il FMI, il quale aveva sempre promosso la politica argentina, si ritirò in disparte temendo l’anarchia nel paese. L’Argentina, libera di attuare una politica pragmatica tesa alla stabilizzazione del tasso di cambio e all’eliminazione dei deficit strutturali riuscì ad invertire la tendenza risollevando l’economia; tuttavia, nel 2003 è stato concordato un nuovo accordo con il FMI che prevedeva l’implementazione delle vecchie fallimentari politiche.

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ABSTRACT Il presente lavoro analizza l’evoluzione recente del debito estero argentino con l’obiettivo di studiare la storia e le dinamiche che hanno condotto il Paese latino- americano alla crisi del dicembre 2001 e alla successiva ristrutturazione. L’elaborato inquadra l’indebitamento nella globalizzazione finanziaria analizzando i fattori chiave della crescita imponente del debito; a tale proposito è posto l’accento sul ruolo svolto dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale. Questi organismi hanno imposto fin da subito privatizzazioni, deregolamentazioni, tagli alla spesa pubblica e la svalutazione della moneta perseguendo il fine di aggiustamento del bilancio interno per favorire l’entrata di capitali privati esteri attratti dalla possibilità di un consistente profitto. L’analisi empirica dimostrò, però, il fallimento delle sue politiche, infatti, la quasi totalità dei paesi che hanno eseguito in maniera ortodossa le politiche consigliata si sono ritrovate con un debito enorme e l’economia disastrata. La volontà di ricercare le cause del fallimento argentino ci porta all’analisi delle politiche macroeconomiche attuate negli anni ottanta e novanta; nella prima fase d’indebitamento è perseguito lo scopo di una crescita economica, ma la presenza simultanea di deficit strutturali, aggravarono un’inflazione già endemica al sistema. Dal 1989 si ebbe un fenomeno iperinflazionista, per combattere il quale nel 1991, si attuò il Piano Convertibilità che prevedeva un cambio fisso tra il peso e il dollaro stabilito per legge. La moneta nazionale fu sopravvalutata, i disequilibri indotti da tale scelta rimarranno in incubazione fino al 1998, quando l’Argentina, segnata da un’apparente stabilità macroeconomica, subì gli shock delle crisi finanziarie registrate nel sud est asiatico e in Russia che determinarono un deflusso di capitali e un incremento dei tassi d’interesse. Il settore pubblico cadde in una spirale debitoria che lo costrinse ad indebitarsi ulteriormente ed a tassi d’interessi sempre maggiori. Gli squilibri fiscali e della bilancia corrente, uniti all’incremento degli interessi e al deflusso di capitali determinarono la crisi del 2001. Il FMI, il quale aveva sempre promosso la politica argentina, si ritirò in disparte temendo l’anarchia nel paese. L’Argentina, libera di attuare una politica pragmatica tesa alla stabilizzazione del tasso di cambio e all’eliminazione dei deficit strutturali riuscì ad invertire la tendenza 64

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