Perché la storiografia scientifica è sempre revisionista
Che la storia sia un campo del sapere caldo è fatto risaputo. E’ per tale motivo che l’attenzione che alla storiografia viene posta, in qualità di intellettuali, politici e cittadini, è di primaria importanza per arrivare ad avere consapevolezza, in base alla conoscenza del passato, dei processi in atto e dei possibili scenarî che il futuro offre.
Soprattutto in un contesto globalizzato, nel quale i destini dei popoli sono così strettamente legati gli uni agli altri, crediamo sia fondamentale avere una base solida sulla quale fondare la conoscenza dell’altro come di sé stessi.
In questa prospettiva solo la storiografia è in grado di farci acquisire tale consapevolezza, sia per conquistare una visione della propria storia che sia in grado davvero di farci capire chi siamo, sia perché la storia stessa rappresenta un bagaglio di esperienze, di problemi, e di soluzioni a tali problemi, da cui l’uomo, tornando alla concezione dell’historia magistra vitae, non può altro che imparare a vivere più consapevolmente e, si spera, ad evitare gli “errori” già commessi.
Troppo a lungo la storiografia è stata vista, da una parte, come disciplina certa e indiscutibile, che metteva in campo solo “puri fatti”, e, dall’altra, come strumento ideologico da usare e “abusare” per dimostrare la validità delle proprie convinzioni politiche. Se, come vedremo, la prima visione è epistemologicamente impossibile, la seconda, ancor più pericolosa, presuppone che la Verità abbia dei padroni. Cercheremo di spiegare in che senso queste interpretazioni della storiografia siano scorrette.
In realtà la risposta si trova proprio nel tipo di storiografia da noi descritta in questa ricerca, cioè la storiografia scientifica.
Grazie all’apporto fondamentale dell’epistemologia e della filosofia ermeneutica, potremo esplorare le condizioni che permettono la storiografia scientifica e le caratterisitiche di tale processo.
La grande lezione da trarre da tutto questo sarà che nessuna delle nostre conoscenze potrà mai essere certa della propria verità, poiché la scienza, ogni tipo di scienza, è, per natura logica, fallibile. Per tale motivo la metodologia scientifica non può altro che spingere al continuo controllo e alla continua revisione di ogni nostra conquista. Si tratta, infatti, di una grande lezione di modestia, di docta ignorantia, poiché solo chi sa di non sapere è in grado di fare delle vere domande, e solo a chi pone delle vere domande la scienza è in grado di offrire le giuste risposte.
Nella nostra ricerca siamo partiti dall’enunciazione di alcuni presupposti teoretici che costituiscono la base metodologica della scienza.
Partendo dalla confutazione del panlogismo hegeliano, che riconosceva l’identità di realtà e razionalità, ci siamo soffermati sulla concezione ontologica del soggetto storico, che se per Hegel, come per tutte le visioni olistiche, si concentrava sui grandi enti collettivi (Stato, Umanità, Ragione...), in un contesto scientifico, quindi nella realtà empirica, non può prescindere invece dall’individuo, ponendo quindi le basi dell’individualismo metodologico, esplorato, tra gli altri, da grandi pensatori come von Mises e von Hayek, oltre che dallo stesso Popper. Infatti, riferendoci all’antico problema degli universali, non potremo che considerare i nomina collettivi solo delle ipostatizzazioni improprie di concetti astratti. Per questo nella storiografia i dati empirici da studiare sono costituiti esclusivamente da azioni di individui e dalle conseguenze che tali azioni, consapevolmente, ma soprattutto inintenzionalmente, producono.
Sul piano metafisico, il riferimento da tenere costante è la concezione kantiana della conoscenza, che distingue realtà fenomenica, unico riferimento empirico per la scienza, e cosa in sé, che possiamo identificare con la Verità dei fenomeni, ma che sarà solo un postulato gnoseologico, un noumeno, ovvero l’intellegibile puro, “l’oggetto di un’intuizione non sensibile”, di una conoscenza extrafenomenica preclusa all’uomo. Per questo, la Verità, seppure raggiungibile teoreticamente, non potrà essere dimostrabile, e sarà da considerare solo un ideale regolativo al quale la conoscenza scientifica ambisce.
Esplorando gli innumerevoli punti di contatto tra Kant e Popper, abbiamo infatti evidenziato i vari postulati metafisici da anteporre logicamente alla scienza, ovvero che la realtà esiste, che sia conoscibile e che presenti una regolarità che la renda comprensibile. La scelta etica da cui partire poi sarà proprio la scelta della scienza stessa.
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Informazioni tesi
Autore: | Alberto Bitonti |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2003-04 |
Università: | Libera Univ. Internaz. di Studi Soc. G.Carli-(LUISS) di Roma |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienza della comunicazione e delle relazioni istituzionali |
Relatore: | Dario Antiseri |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 87 |
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