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Psicoanalisi dell'anoressia: il corpo devastato

Il testo vuole essere un valido aiuto per gli educatori professionali che intendono trattare l’anoressia partendo dalle sue cause; quindi è rivolto a tutti coloro che pensano che l’anoressia sia il sintomo di un disturbo celato che può avere diverse origini. Inoltre è un punto di partenza per tutti quelli che, in modo diretto o indiretto, si ritrovano ad affrontare un disturbo alimentare. Ha la pretesa di approfondire degli aspetti che troppo spesso vengono tralasciati, riducendo i disturbi alimentari ad un mero problema sociale legato ai mass media e ai modelli sbagliati.
Questo libro affronta il problema dell’anoressia lungo un percorso che va dalle origini dell’anoressia al trattamento attuale nelle associazioni presenti in territorio nazionale.
Il filo conduttore di tutto il lavoro è l’approccio psicoanalitico; per questo ritengo opportuno riepilogare quelli che sono i punti cardine da cui questo indirizzo di pensiero parte per analizzare i disturbi alimentari.
In primo luogo, i differenti approcci sembrano trovarsi d’accordo sulla tesi secondo cui l’anoressia e la bulimia, prima di essere dei disturbi, sono state delle soluzioni per il soggetto, perchè si sono presentate come l’unica risposta possibile davanti a qualcosa di insostenibile in cui si è imbattuto ad un certo punto dell’esistenza. Si tratta, ovviamente, di una soluzione inconscia, che il soggetto ha messo in pratica senza saperlo per trattare una difficoltà nel rapporto con l’Altro. Alla base di questo tipo di disturbi è quasi sempre riscontrabile una difficoltà di chi ne soffre a trattare simbolicamente sia le esperienze traumatiche di perdita che le esperienze altrettanto traumatiche di manifestazione del desiderio come spinta pulsionale incontrollabile. Questo spiega perchè l’anoressia si scatena soprattutto nell’età interessata dal passaggio dalla pubertà all’adolescenza.
Un’ altra caratteristica dell’approccio psicoanalitico è quella di mettere al centro dell’intervento terapeutico il soggetto seguendo quello che è un vero e proprio postulato etico: il soggetto è sempre responsabile, nel senso che tutti gli eventi che lo investono ricevono il loro senso solo attraverso la mediazione soggettiva che retroattivamente li significa; la naturale conseguenza di questo postulato è il fatto di trattare il disturbo tenendo sempre presente la particolarità del soggetto puntando a far emergere dalle sue parole, dalla rievocazione della sua storia, la funzione e l’importanza che la soluzione anoressica ha avuto per lui. Tale caratteristica rappresenta una svolta nell’ambito della cura di questi disturbi; infatti, andando oltre il sapere puramente medico, questo approccio interpella il sapere inconscio del soggetto che diventa artefice della propria cura.
Del resto l’insistenza della psicoanalisi sull’imprescendibilità della nozione di soggetto e della sua funzione di mediazione è già contenuta nel valore che Freud attribuisce più che al trauma in sè, al senso che esso riceve, retroattivamente, dall’interpretazione soggettiva.
Inoltre, l’anoressia è la manifestazione di un disturbo del legame con l’Altro; ne sono testimonianza la tendenza all’isolamento e la diserzione della tavola come punto di incontro con il cibo e con gli altri. Ne consegue che la sregolatezza alimentare rinvia ad una sregolatezza relazionale del soggetto. Ma tale patologia, come vedremo, è anche un tentativo di risposta al rapporto insostenibile con l’Altro, soprattutto l’Altro materno. In questo senso il sintomo vuole essere un tentativo, inconscio, di separazione dall’Altro troppo invasivo o del tutto assente. Questa “separazione” non consente al soggetto di raggiungere un’effettiva autonomia, ma lo inchioda al miraggio di un’autonomia illusoria frutto del raggiungimento del perfetto controllo di ogni bisogno; in altre parole, attraverso l’illusione di poter controllare ogni cosa della propria vita, il soggetto anoressico si convince di aver raggiunto quell’autonomia desiderata che in realtà altro non è che un’ulteriore forma di dipendenza. La cura dell’anoressia punta, allora, ad andare oltre il binomio autonomia-dipendenza, e a fare accettare la dipendenza dall’Altro, perchè solo così si può sperare in una reale autonomia.


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INTRODUZIONE 6 Introduzione Questa tesi affronta il problema dell’anoressia seguendo un approccio psicoanalitico lungo un percorso che va dalle origini dell’anoressia al trattamento attuale nelle associazioni presenti in territorio nazionale. Il lavoro è diviso in cinque capitoli: nel primo viene proposta la storia dell’anoressia, a partire dal periodo paleocristiano (nel quale erano presenti casi di astinenza dal cibo per ascetismo) fino ai giorni nostri, passando per Lasegue e Freud fino a Hilde Bruch e Mara Selvini Palazzoli; il secondo capitolo mette in evidenza la pluralità delle anoressie, partendo dalla differenza tra nevrosi e psicosi proposta in primis da Freud e Lacan che permette di affrontare il problema alimentare in base alla struttura soggiacente; nel terzo capitolo si affronta il disturbo anoressico nella sua maggiore evidenza, ossia il corpo anoressico in tutta la sua fisicità affrontando il significato dello scheletro per la ragazza anoressica e l’ importanza e il ruolo dello specchio; il quarto capitolo descrive il modo in cui si forma il legame con l’Altro materno a partire dalla nascita, e la funzione della metafora paterna e, inoltre, pone l’attenzione sulla famiglia della ragazza anoressica e sulle patologie più frequenti riscontrate in queste famiglie; nel quinto capitolo, si è cercato di dare una risposta al perchè della diffusione dei disturbi alimentari nella società

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Parole chiave

abuso
altro materno
anoressia
anoressia isterica
anoressia melanconica
anoressia nevrotico-ossessiva
autolesionismo
corpo
dismorfofobia
disturbi alimentari
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metafora paterna
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