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Comunicazione – Colloquio terapeutico (Gli estremi di un percorso narrativo)

Piccola opera di ricongiunzione fra il processo comunicativo e il colloquio terapeutico. Da un lato, ci sono i modelli di comprensione di come il pensiero viene espresso, comunicato appunto, con il ricorso a principi e ipotesi, a teorie più o meno meccanicistiche, comunque riferibili al campo della scienza, della matematica e della logica. Dall’altro lato troviamo la pratica clinico-psicoterapeutica per eccellenza, il colloquio, dove regnano le vicissitudini e le intenzioni della quotidianità e degli aspetti più intimi della coscienza umana. Pensare che queste due polarità epistemologiche siano slegate sdegnerebbe il colloquio clinico quale pratica ascrivibile a un protocollo scientifico di cura e contemporaneamente non renderebbe giustizia a tutti gli studiosi che hanno integrato i modelli matematici con l’imprevedibilità della natura umana.

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Introduzione Il testo del prologo fa riferimento alle parole di un romanziere, uno scrittore; sì, perché scrivere è una forma di comunicazione e il romanzo può essere luogo d’identificazione e momento di confronto fra realtà e immaginazione, il romanzo è più vicino all’uomo di quanto non lo siano la poesia, la musica e il teatro, proprio perché riproduce l’esistenza nell’insieme e nella varietà dei fatti. Il dolore, l’amore, la vita e la morte sono gli argomenti che caratterizzano i romanzi 2 e che possono trovare un modello d’identificazione nel lettore. Nell’analisi del “raccontare”, infatti, ho trovato un senso (che il prologo stesso lascia intendere) a quello che leggerete in questa piccola opera di ricongiunzione fra il processo comunicativo e il colloquio terapeutico. Da un lato, ci sono i modelli di comprensione di come il pensiero viene espresso, comunicato appunto, con il ricorso a principi e ipotesi, a teorie più o meno meccanicistiche, comunque riferibili al campo della scienza, della matematica e della logica. Dall’altro lato troviamo la pratica clinico-psicoterapeutica per eccellenza, il colloquio, dove regnano le vicissitudini e le intenzioni della quotidianità e degli aspetti più intimi della coscienza umana. Pensare che queste due polarità epistemologiche siano slegate sdegnerebbe il colloquio clinico quale pratica ascrivibile a un protocollo scientifico di cura e contemporaneamente non renderebbe giustizia a tutti gli studiosi che hanno integrato i modelli matematici con l’imprevedibilità della natura umana. Illuminante in questo senso è stato per me Bruner nel libro “La mente a più dimensioni” (1986) dove l’autore individua due modi di pensare, inerenti alle capacità umane: il pensiero logico-scientifico e quello narrativo. Il primo si fonda su principi e ipotesi ed è utilizzato per studiare la verificabilità di fatti o cause, appartiene in particolare al campo scientifico. Il secondo è legato alla capacità di raccontare dell’uomo ed ha le caratteristiche di definire l’esperienza attraverso dei parametri spazio-temporali. Questa capacità è facilmente assimilabile al colloquio clinico (richiama molto il concetto di setting), ma più che altro ne è antesignana e vedremo dopo perché. Anche Bruner, comunque, considera inscindibili questi due apparenti opposti, che, seppure indipendenti l’uno dall’altro, rappresentano due metodi di costruzione della realtà. Intrinseci nell’agire umano, i due modelli si frappongono secondo la casualità delle situazioni, ma il pensiero narrativo è più vicino alla realtà di quanto lo sia il logico- scientifico, perché propone il verosimile. Un individuo, per esempio, potrebbe raccontare oralmente episodi della sua giornata legati alla propria professione lavorativa o alla famiglia, oppure momenti della sua infanzia, o anche propositi per l’avvenire. Il racconto, così, investe di senso l’esperienza dell’uomo nel mondo e crea un nesso temporale fra presente-passato e presente-futuro: il ricordo ha dei confini ben delineati, il futuro è un progetto da realizzare. Vorrei dunque proporre la narrativa, quindi la narrazione, come chiave di volta per rendere “comunicanti” le stanze della scienza e della pratica clinica. Perché se è vero che il 2 Non a caso il prologo è di uno scrittore, Stephen King, celebre soprattutto per le opere “horror”, che però ha sempre rivelato, anche nei suoi romanzi più terrificanti, la spinta alla vita e alla comprensione dell’agire umano.

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Informazioni tesi

  Autore: Marco Vitiello
  Tipo: Tesi di Specializzazione/Perfezionamento
Specializzazione in Psicoterapia di Gruppo
Anno: 2006
Docente/Relatore: Perna Colamonico
Istituito da: ITER - Istituto Terapeutico Romano
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 28

FAQ

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