Il demansionamento nel rapporto di lavoro subordinato
Prima di analizzare la tematica del demansionamento e dei danni derivanti dalla lesione della professionalità si è reso necessario, da un punto di vista concettuale, cercare di capire che cosa debba intendersi con quest’ultimo termine; sarebbe d’altronde operazione poco coerente, da un punto di vista logico, analizzare le situazioni lesive di un bene -che già di per sé non si presta ad una definizione precisa- nonché le conseguenze della lesione stessa, senza prima sapere quali siano gli elementi che lo caratterizzano.
Il presente lavoro, dunque, propone inizialmente un temerario ma doveroso tentativo di identificare i problemi relativi alla determinazione qualitativa dell’oggetto del contratto di lavoro subordinato.
Si cercherà di analizzare il termine “mansione” e di individuare quale sia la valenza semantica più appropriata da attribuire al medesimo, al quale spetta l’arduo compito di specificare, delimitandola compatibilmente con la sua costruzione dogmatica, la prestazione lavorativa oggetto del contratto.
Dai problemi relativi alla determinazione qualitativa si passerà ad analizzare le specifiche situazioni contemplate dall’articolo 2103c.c.; si vedrà come quello di equivalenza delle mansioni sia un concetto aperto, solo teleologicamente determinato e idoneo a contemperare le istanze di flessibilità della manodopera con la tutela della personalità e della dignità umana, cui si informa la ratio dell’articolo stesso. La nascita e lo sviluppo di nuovi strumenti contrattuali che in qualche modo tentano di plasmare il significato del termine “equivalenza” ha dato luogo a un’intensa attività ermeneutica della giurisprudenza che da un lato ha permesso, anche se con difficoltà, di individuare una logica unitaria nella gestione dei casi sottoposti al vaglio giurisprudenziale, dall’altro ha riaffermato il ruolo del diritto come guida dei processi reali e del giudice come interprete della legge.
Vedremo come l’articolo 2103c.c. sia idoneo anche a ricomprendere situazioni, quali la sottrazione, parziale o totale, di mansioni, che secondo una visione tradizionale esulano dall’articolo stesso, salvo esserne ricomprese attraverso un’interpretazione evolutiva, che vede appunto nell’articolo in questione una ratio di tutela della dignità e della personalità del lavoratore; quest’ultimo assunto ha permesso di enucleare uno specifico diritto del lavoratore di svolgere la prestazione di lavoro, anche se la questione è controversa in dottrina.
Dall’indagine sull’equivalenza si passerà ad analizzare il concetto di “mansioni superiori” nonché i patti contrari al disposto della norma, in quando entrambi contribuiscono a delineare i profili della complessa trama di comportamenti vietati in quanto idonei a recare detrimento al bene “professionalità”.
Ove questo si verifichi la giurisprudenza individua una figura di danno che, se talvolta gode di una propria fisionomia e di un’autonoma capacità risarcitoria, più spesso ridonda i suoi effetti nella sfera patrimoniale, emotiva, relazionale e finanche biologica del soggetto leso.
Una volta illustrata la tipologia dei danni derivanti dal demansionamento si darà atto delle difficoltà che la giurisprudenza incontra nel cercare di trovare un inquadramento sistematico agli stessi, considerato che, anche dopo la nascita del c.d. “danno esistenziale” e il ridimensionamento del danno biologico a opera del D.Lgs 38/2000, parte della stessa è restia a considerare il danno in questione di natura squisitamente personale, recuperandone la sua componente patrimoniale.
Questo contribuirà a complicare ulteriormente i problemi sorti in ambito probatorio dall’affermarsi di danni afferenti la sfera non patrimoniale, costringendo la Suprema Corte a rimettere la questione alla Sezioni Unite, nella speranza che l’autorevolezza di quest’ultima riesca a sollecitare un orientamento uniforme in merito.
La dinamica ora descritta, con i problemi sorti in ambito probatorio, è all’origine della crisi della tradizionale funzione della tutela risarcitoria; non essendo questa idonea a dare una risposta alle istanze di tutela della persona, parte della dottrina prende atto di come non si faccia un adeguato uso degli strumenti di tutela preventiva predisposti dal nostro ordinamento, mentre altra parte vede con entusiasmo l’affermarsi della funzione punitivo-preventiva della responsabilità civile.
D’altronde, se è vero che gli strumenti di tutela preventiva, se presi singolarmente, si dimostrano inidonei a garantire un’effettiva e piena tutela della persona, non se ne può inferire l’inutilità degli stessi; la conclusione cercherà di sottolineare da un lato come il codice civile lasci spazio ad un perfezionamento delle stesse (si pensi al c.d. astreinte), dall’altro come queste ultime, opportunamente combinate tra di loro (e con la tutela risarcitoria), possano contribuire con efficacia ad evitare il realizzarsi dell’evento dannoso e a ridurre gli alti costi sociali connessi alle conseguenze dell’evento.
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Informazioni tesi
Autore: | Renato Locatelli |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2005-06 |
Università: | Università degli Studi di Bergamo |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Maurizio Prof. Sala Chiri |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 99 |
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