Eretici e inquisitori medievali nell'opera di Cesare Cantù
Oggi il nome di Cesare Cantù riappare soltanto nella celebrazioni dei centenari della sua nascita o della sua morte, rimanendo relegato tra le poche righe dei manuali di storia della letteratura italiana e dei dizionari di storiografia. I motivi di questa rimozione sono da addebitarsi, oltre che alla monumentale importanza del suo collega e amico Alessandro Manzoni, ai giudizi pesantemente sfavorevoli di Francesco De Sanctis e di Benedetto Croce. Il primo ha visto in lui un “reazionario in maschera di liberale”, Croce, successivamente, ne ha bocciato la “sviata” e ‘bossuettiana’ concezione della storia. Soprattutto queste considerazioni hanno segnato, per molti decenni, la valutazione dell’autore sia come letterato che come storico.
Questa tesi non intende affrontare un discorso generale sulla figura di Cantù, oscillante tra conservazione e progresso ma, sebbene non possa prescinderne, si propone di individuare e approfondire un settore della produzione canturiana che pochi, anzi in pochissimi, hanno esaminato.
Nella sintesi storiografica che Raffaello Morghen inserisce come introduzione al capitolo Eresie nel medioevo del suo fondamentale saggio, Cantù non è citato. In realtà già nel 1852, basandosi su precedenti ricerche compiute per realizzare l’immensa Storia Universale, Cantù aveva pubblicato l’Ezelino da Romano, una lunga monografia tra lavoro storico e romanzo, dove, oltre a esporre una compiuta rappresentazione dell’Italia nella prima metà del secolo XIII, dedicava un intero capitolo all’Eresia-Inquisizione-scomunica. Successivamente, tra il 1865-1866 escono Gli eretici d’Italia, “fra noi il primo e finora il solo lavoro di tal genere”, sottolineava Carlo Cipolla, di cui il primo dedicato quasi interamente al medioevo. Le rare e brevi considerazioni di questo saggio furono contrastanti. L’impegno di Cantù, sebbene applaudito in Italia nelle riviste e nei giornali coevi e in Francia, grazie alle traduzioni di Anicet Digard e Edmond Martin, non è stato premiato dai posteri che condannarono il lavoro a una damnatio memoriae che continua ancora ai giorni nostri.
I motivi di questa conscia noncuranza, oltre che nelle accuse di plagio, rigido moralismo e papismo che la critica moderna ha tracciato intorno all’inesauribile poligrafo, vanno individuati, più che nel metodo, che non prescinde dall’esame del documento vivo, nelle finalità propagandistiche, che di certo non nasconde, con cui Gli eretici d’Italia furono concepiti. Ma il 1864 fu un anno cruciale per la Chiesa. Il nuovo Parlamento italiano metteva in discussione il potere temporale e l’indipendenza territoriale della Curia romana con l’unico scopo di appropriarsi legalmente dei suoi beni. Oltre che come deputato, anche nella sua carriera letteraria Cantù ha difeso sempre le libertates ecclesiae contro i novi haeretici, i moderni ghibellini rivoluzionar-liberticidi della sua neonata nazione.
Il suo interesse verso i movimenti ereticali medievali non fu dunque oggettivo ed imparziale. Cantù si sentiva giudice morale di fatti e grandi personaggi della storia, condannandoli ed assolvendoli senza timori reverenziali. Esplose in polemiche religioso-politiche rivolte al presente, in tributi al dogma, alla Chiesa infallibile e agli ordini mendicanti, coronati da lunghe manifestazioni d’erudizione e virtuosismi letterari.
In quest’ottica gli eretici diventano lo strumento ideale per riaffermare ed elogiare quel ruolo sopra le coscienze di una Chiesa creatrice e dispensatrice di civiltà, custode di verità e tradizione, a discapito di un’analisi seria e calibrata delle loro dottrine, del perché nacquero e si diffusero in un dato contesto storico sociale.
Un’onesta valutazione di quest’opera deve comunque tener conto dello spirito partigiano del tempo, lontanissimo dai metodi d’indagine e d’analisi rigorosamente scientifiche del secolo successivo.
Solo in tempi più recenti, grazie al contributo di Attilio Agnoletto all’edizione di Cesare Cantù nella vita italiana dell’Ottocento e all’articolo di Giorgio Cracco, Eresiologi d’Italia tra Otto e Novecento, ha cominciato ad affacciarsi timidamente l’idea di un Cantù storico del cristianesimo e dei movimenti ereticali. Malgrado questo, la ripresa degli studi, avviata da emeriti professori e ricercatori nelle serie di conferenze tenutesi per il bicentenario della nascita non ha ancora tenuto in debita considerazione questo nuovo e interessante scenario dell’‘infinito canturiano’.
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Informazioni tesi
Autore: | Antonio Pirozzolo |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2005-06 |
Università: | Università degli Studi di Milano |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Lettere moderne |
Relatore: | Grado Giovanni Merlo |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 247 |
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