Aiutare le persone ad aiutarsi. La buona comunicazione a scuola.
Quante situazioni complesse vivono oggi gli insegnanti e i dirigenti alle prese con tutti coloro che hanno a che fare con il sistema scolastico. Professionisti diversi appartenenti a istituzioni e servizi differenti che spesso si occupano dello stesso alunno ma parlano linguaggi differenti.
Ogni giorno i professionisti dell'educazione giocano ruoli diversi e cercano di districarsi in un mare di situazioni comunicative e relazionali che a volte rischiano di diventare delle vere e proprie mine emotive. E più che mai oggi sono investiti da importanti mutamenti di cui non è sempre chiara la direzione.
Un insegnante, ad esempio, oggi può essere impegnato su due fronti. Uno è all’interno della classe dove le caratteristiche e i comportamenti degli allievi, dei colleghi e dei genitori si sommano alle differenti esigenze di ciascuno. Le variabili di cui tener conto sono tante, troppe e aumenta il rischio di veder crescere un malessere che coinvolge tutta la classe. L’altro fronte è rappresentato da tutti i rapporti che l'insegnante si trova a gestire quando svolge un compito di organizzazione. Mi riferisco ai docenti " funzioni obiettivo", ai referenti di commissioni varie, ai collaboratori del dirigente, ai responsabili di plesso ecc. In tutti questi ruoli la didattica resta sullo sfondo mentre in primo piano emergono le abilità comunicative, organizzative, decisionali, di mediazione e di negoziazione. Un compito sicuramente non facile, da cui gli insegnanti ne escono a volte sfiancati e demotivati, altre volte disorientati e con la sensazione di spendere gran parte del proprio tempo lavorativo a cucire relazioni, a convincere, a condividere. Mi sto riferendo a situazioni non rare che richiedono interventi attenti e consapevoli. Soprattutto si tratta di impegnarsi non tanto nel determinare una causa del problema o, ancora peggio, un colpevole, ma di lavorare nella ricerca di una soluzione percorribile.
Si tratta di provare a far funzionare il sistema coinvolto (come ad esempio: il collegio docenti, la commissione continuità, i genitori della classe…) secondo una modalità che permetta di attingere dalle sue risorse interne e che, nello stesso tempo, possa accrescere la capacità di funzionare in modo efficace.
In sintesi mi riferisco alla necessità di utilizzare uno strumento di intervento che favorisca sia il cambiamento sia l'apprendimento del sistema coinvolto.
Dagli anni ‘90 in poi la scuola ha fatto proprie le attività di prevenzione del disagio e di promozione del benessere e in una nuova accezione di scuola, intesa come “agenzia” educativa con finalità formative e preventive si inserisce la pratica del Counseling Scolastico, il cui fine è quello di agevolare la relazione insegnante-studente, insegnante-genitore, insegnante ed altre figure professionali. Un Counselor che lavora in una scuola è chiamato innanzitutto a rispettare i principi dell’ascolto attivo, dell’empatia e della congruenza. Egli deve, inoltre, focalizzare la sua attenzione sulla relazione in atto e sulla comunicazione verbale e non verbale dell’utente, utilizzando le regole della comunicazione efficace e tecniche precise dell’analisi della domanda.
In questo senso la metodologia della “relazione di aiuto” ci fornisce delle preziose indicazioni.
Nella prima parte di questo lavoro ho trattato i riferimenti teorici, gli aspetti dottrinali e filosofici del counseling, delle relazioni di aiuto, dello sportello mentre nella seconda parte ho cercato di riportare riflessioni frutto della mia esperienza professionale, di tirocinio svolta presso un istituto comprensivo della provincia di Bolzano.
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Informazioni tesi
Autore: | Vincenzo Gullotta |
Tipo: | Tesi di Master |
Master in | master di secondo livello in dirigenza dei servizi culturali socio-educativi e scolastici|
Anno: | 2006 |
Docente/Relatore: | Raffaella Biagioli |
Istituito da: | Università degli Studi di Firenze |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 82 |
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