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Ballo a casa Ziegler. Le canzoni in funzione narrativa in Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick

Stanley Kubrick è stato, senza ombra di dubbio, uno dei più grandi cineasti della storia del cinema; Vincent lo Brutto lo definisce “un narratore cinematografico con una visione costante e un controllo totale delle miriadi di dettagli che il fare cinema richiede ”. Analizzando la sua opera risulta evidente la cura che il regista ama avere per “le miriadi di dettagli” ed, in particolare, l’importanza (spesso centrale) che egli attribuisce alla musica, seconda, forse, solo a quella riservata alla messa in scena e a quel “fotografare la fotografia della realtà ” che caratterizza tutto il cinema di Kubrick.
Diversi autori si sono cimentati nell’analizzare l’utilizzo della musica nella cinematografia kubrickiana, tuttavia questi studi si sono sempre concentrati sugli aspetti musicali più “colti” o più rappresentativi di quella ironia antifrastica che viene universalmente riconosciuta alla musica in Kubrick. Perfino Sergio Bassetti, nel suo approfondito saggio “La musica secondo Kubrick” si limita ad associare quelli che lui definisce “una ridda di motivi di danza e alcuni brani mediati dalla cultura pop ” (riferendosi ai motivi oggetto dello studio di questa tesi) a meccanismi antifrastici o ironici, e, pur intuendo che “in Eyes Wide Shut il meccanismo dell’antifrasi viene attuato più che altrove attraverso l’elemento verbale-musicale, ovvero titoli e testi delle canzoni ”, egli non si inoltra in un’analisi dei testi che aiuterebbe a comprendere quello che lui definisce “le implicazioni allusive, ironiche o antinomiche ”, implicazioni che, a mio parere, seppur all’apparenza retoriche (nel senso di Bassetti), risultano a volte didascaliche dell’immagine che la messa in scena kubrickiana ci mostra in quel preciso momento, dimostrando ancora una volta la capacità eccezionale di Kubrick di saper armonizzare “le miriadi di dettagli” in uno splendido “collage ” tanto uniforme da rendere quasi inscindibili (ed irriconoscibili) le singole parti costitutive.
Scopo di questa tesi è quindi quello di approfondire uno dei tanti aspetti che gli studi ufficiali hanno ritenuto di poco conto o del tutto ignorato. Attraverso l’analisi dei diciotto minuti a casa Ziegler si cercherà di capire come Kubrick nell’utilizzare “una ridda di motivi di danza e alcuni brani mediati dalla cultura pop” vada ben oltre l’antifrasi applicata ad un titolo, e riesca ad attribuire un significato altro alla musica grazie alle immagini e alle immagini grazie alla musica, il tutto con un’armonia ed un’omogeneità che è propria dei grandi cineasti.

Mi permetto una piccola digressione per citare almeno un ulteriore aspetto, a mio avviso, mal approfondito dagli studi ufficiali, che riguarda la traduzione, o meglio l’interpretazione data al titolo “Eyes Wide Shut”. Generalmente il senso dato a questo titolo, in maniera troppo univoca, è quello di occhi aperti chiusi o nel sempre attento e acuto Gianni Canova “apertichiusi” (quindi né aperti né chiusi), da questa interpretazione si è preso spunto per analizzare diverse tematiche del film (il doppio, il confine sogno realtà, ecc.) indubbiamente rilevanti e presenti. Stranamente, però, nessuno ha mai riflettuto sul fatto che Wide significa ampio, e non aperto. Sebbene questa parola venga spesso usata con open (aperto) nell’espressione wide open (spalancato ma anche sconfinato, pensiamo a “Into the great wide open” di Tom Petty), essa non è sinonimo di aperto. L’espressione “Eyes Wide Shut” potrebbe quindi riferirsi non a degli occhi aperti chiusi ma a degli occhi sconfinatamene chiusi ( wide verrebbe usato qui in maniera antifrasica/antinomica), chiusi, quindi su tutto, incapaci di vedere e percepire la vera realtà ed i veri valori, incapaci perfino di vedere, accettare e capire se stessi e gli altri, sconfinatamene chiusi, espressione ultima del pessimismo che Kubrick nutriva nei confronti dell’uomo (condannato ad essere schiavo della sua natura animale e quindi sconfinatamene chiuso alla vera civiltà).
Scriveva Bernando Bertolucci ne Il Tempo del 9 marzo 1999 :

“ …Ammiravo enormemente la limpidezza dello sguardo di questo grande visionario, una limpidezza lucida e spietata, però a questa grande ammirazione non ha mai corrisposto un amore….forse perché non ho mai avuto, guardando i suoi film, la sensazione che Kubrick amasse l’umanità…lo ammiravo perché era un grandissimo cineasta; la sua visione, la sua lente era unica ed inesorabile, come se mettesse tutto eccessivamente a fuoco, ma è come se avessi sempre visto i suoi film dietro una specie di muro di vetro”.

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2 INTRODUZIONE Stanley Kubrick è stato, senza ombra di dubbio, uno dei più grandi cineasti della storia del cinema; Vincent lo Brutto lo definisce “un narratore cinematografico con una visione costante e un controllo totale delle miriadi di dettagli che il fare cinema richiede 1 ”. Analizzando la sua opera risulta evidente la cura che il regista ama avere per “le miriadi di dettagli” ed, in particolare, l’importanza (spesso centrale) che egli attribuisce alla musica, seconda, forse, solo a quella riservata alla messa in scena e a quel “fotografare la fotografia della realtà 2 ” che caratterizza tutto il cinema di Kubrick. Diversi autori si sono cimentati nell’analizzare l’utilizzo della musica nella cinematografia kubrickiana, tuttavia questi studi si sono sempre concentrati sugli aspetti musicali più “colti” o più rappresentativi di quella ironia antifrastica che viene universalmente riconosciuta alla musica in Kubrick. Perfino Sergio Bassetti, nel suo approfondito saggio “La musica secondo Kubrick” si limita ad associare quelli che lui definisce “una ridda di motivi di danza e alcuni 1 Vincent Lo Brutto “Stanley Kubrick L’Uomo Dietro La Leggenda” Ed. Il Castoro 1999 p. 9 2 Estratto (minuto 94) dal DVD Stanley Kubrick: A Life in Pictures, prodotto e diretto da Jan Harlan per la Warner Bros. Citato in Flavio De Bernardinis “L’immagine secondo Kubrick” Ed. Lindau 2003 p. 9

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