Il teatro di Miklòs Hubay
Se è vero che la pratica teatrale ha sempre avuto un ruolo centrale nella società ungherese, è altrettanto vero che Miklòs Hubay è uno tra gli autori più rappresentativi del teatro ungherese degli ultimi sessant’anni. Personalità poliedrica e artisticamente complessa, opera in campo letterario anche in qualità di studioso, saggista e traduttore, ma è nelle vesti di drammaturgo che trova la dimensione a lui più congeniale. Nei suoi drammi gli elementi autobiografici si mescolano al respiro di tutta la società ungherese, vittima in pochi anni della follia nazista, della controrivoluzione del 1956 e del sanguinario regime comunista: le sue opere affrontano con coraggio le maggiori questioni politiche, sociali e umane, dribblano la censura grazie al profondo amore per i classici, lasciano emergere un quadro da cui si possono esplorare la complessità ideologica, le contraddizioni e le ambiguità di un popolo che per lungo tempo non ha cessato di lottare contro i fantasmi del passato e la barbarie del presente.
Questa tesi nasce e si sviluppa durante un semestre di studio a Budapest, dove ho potuto consultare personalmente gli archivi dell’Istituto del Teatro Ungherese e della Biblioteca Nazionale Ungherese, e si propone di analizzare una selezione di opere rappresentative dell’autore per quanto riguarda le tematiche, caratterizzate da una critica serrata verso la guerra, la prevaricazione del forte sul debole, l’ipocrisia politica, e che mettono in luce il fallimento degli ideali della fede comunista in seguito ai tragici avvenimenti del ‘56; la poetica, riassumibile in un costante senso tragico della Storia, inevitabile se non a costo di un enorme impegno che garantisca al mondo del domani una qualche possibilità di redenzione, ma in una visione assolutamente laica; le novità formali, e non sono poche, che rendono tutta la produzione di Hubay ricca anche dal punto di vista stilistico e drammaturgico, anticipando di alcuni anni tendenze che matureranno solo più avanti.
In particolare Hubay si fa precursore del genere del musical moderno, che fonde con i modelli della poetica simbolista, sgretolando i moduli narrativi cari al naturalismo fino alla rottura estrema dei confini con il reale, lasciando spazio ad una dimensione onirica e leggendaria che ben si adatta al temperamento idealista e sognatore dei protagonisti (“Tre notti di un amore”, 1959); è il primo a rinunciare alla prosaicità statica del naturalismo a favore di una profonda indagine psicologica dei personaggi, la cui attività interiore e psichica diviene l’elemento costitutivo per la rappresentazione del reale (“Lanciatori di coltelli”, 1957), mentre in Nerone è morto? (1968) fa propri alcuni elementi della poetica pirandelliana, prima tra tutti la rivendicazione, da parte dell’autore, del diritto al gioco nel teatro. La molteplicità di ruoli che Nerone interpreta – matricida, uxoricida, persecutore dei cristiani – non è altro che l’emanazione di una fervida e folle fantasia che si riserva il diritto di scrivere un copione tutto personale, per poi metterlo in pratica come se si trattasse di una messinscena (di qui il metateatro). Queste caratteristiche oppongono la figura del protagonista, che rappresenta l’allegoria della tirannide, alla casualità della vita, rendendolo di fatto una figura della necessità.
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Informazioni tesi
Autore: | Alessia Dondero |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2005-06 |
Università: | Università degli studi di Genova |
Facoltà: | Lettere |
Corso: | Lettere moderne |
Relatore: | Eugenio Buonaccorsi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 175 |
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