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L'altro Metastasio. Gli oratori sacri

Gli oratori di Metastasio sono stati per molto tempo relegati al rango di prodotti minori, quasi un trascurabile "a parte" del suo teatro. Solo negli ultimi decenni, la critica ha sottoposto questo giudizio a una revisione, rivalutando le azioni sacre non solo come opere di sicuro valore artistico-formale, ma anche in quanto tappa fondamentale dell’intera produzione metastasiana.
Negli oratori, infatti, Metastasio si confronta con alcune questioni cruciali (Dio, il senso del male, il ruolo dell’iniziativa umana nella storia, il valore della virtù, il potere, la ricerca della Verità etc.), gettando una luce chiarificatrice su tutta la sua opera poetica: ciò che nei melodrammi può sembrare talvolta una meccanica concessione ai gusti del pubblico, come l’onnipresente lieto fine o il ravvedimento dei malvagi, trova qui le sue ragioni profonde, viene cioè “spiegato”. Bisogna dunque guardare a questi testi per recuperare il pensiero che sta alla base dei drammi del "poeta cesareo", nonché le ragioni ultime della sua drammaturgia profana. Ed è appunto quello che mi sono proposto di fare: partire dagli oratori per giungere al pensiero metastasiano, creando, dove possibile, un parallelo con la sua produzione profana, soprattutto con i melodrammi. Ho inoltre voluto inquadrare l'opera di Metastasio all'interno della sua epoca (l'Arcadia, Leibniz, Muratori, Alfonso de' Liguori, Beccaria, l'Illuminismo, etc.), senza però trascurare il suo rapporto con i grandi che lo hanno preceduto, da Agostino a Pascal, da Tasso fino a Racine e Calderón.

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4 PREMESSA Gli oratori di Metastasio sono stati per molto tempo considerati come prodotti minori, quasi un trascurabile a parte del suo teatro. Solo negli ultimi decenni, la critica ha sottoposto questo giudizio a una revisione, rivalutando le azioni sacre non solo come opere di sicuro valore artistico-formale, ma anche in quanto tappa fondamentale dell’intera produzione metastasiana. Condivido totalmente questa rivalutazione. Negli oratori, infatti, Metastasio si confronta con alcuni interrogativi cruciali (Dio, il senso del male, il ruolo dell’iniziativa umana nella storia, il valore della virtù etc.), gettando una luce chiarificatrice su tutta la sua opera poetica: ciò che nei melodrammi è sembrato talvolta una meccanica concessione ai gusti del pubblico, come l’onnipresente lieto fine o il ravvedimento dei malvagi, trova qui le sue ragioni profonde, viene “spiegato”. Maria Grazia Accorsi scrive che «è a questi testi che bisogna guardare per ritrovare la cornice ideologica dei suoi drammi e la giustificazione ultima delle sue teorie e della sua drammaturgia profana» 1 . Ed è appunto quello che mi sono proposto di fare: partire dagli oratori per giungere al pensiero metastasiano, creando, dove possibile, un parallelo con la sua produzione profana, soprattutto melodrammatica. Mi è però parso necessario non trascurare gli aspetti più propriamente formali, inquadrando questi drammi sacri all’interno del genere oratorio: a tale scopo, la prima parte ripercorre brevemente la storia dell’oratorio, dalle origini all’età barocca, evidenziandone le principali caratteristiche tematiche e strutturali. Naturalmente, ho trattato solo della situazione italiana e di quella viennese (le uniche che interessano da vicino per questo discorso), con un’attenzione particolare per l’opera di Apostolo Zeno, che precede Metastasio nel ruolo di poeta cesareo a Vienna e che lo costringe a un confronto diretto almeno due volte (per la stesura del Giuseppe riconosciuto e del Gioas re di Giuda). La seconda parte è, invece, tutta dedicata alle “azioni sacre” metastasiane, che ho suddiviso idealmente in due gruppi. Il primo è formato da Per la festività per il Santo Natale (cap. I), dalla Passione di Gesù Cristo e dal Sant’Elena al Calvario (cap. II): si tratta di oratori che risentono ancora, sia pure in diversa misura, del modello barocco, statico e meditativo, ma che già denunciano 1 Maria Grazia ACCORSI, Le azioni sacre di Metastasio: il razionalismo cristiano, in Mozart, Padova e la ‘Betulia liberata’, pp. 3-26; p. 7.

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