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A.G.C.M.: Limiti procedimentali e sanzionatori nella tutela dalla pubblicità ingannevole

Nel gennaio del 1992 il Parlamento approvò il decreto legislativo n. 74, meglio noto come decreto sulla pubblicità ingannevole. In recepimento di una direttiva comunitaria, la n.450 del 1984, che individuava le fattispecie di ingannevolezza della pubblicità commerciale nell’intento indurre i paesi membri ad adottare una normativa nazionale a tutela dei consumatori contro le piccole o grandi truffe perpetrate dagli operatori commerciali attraverso i messaggi pubblicitari.
Lo stesso decreto ha attribuito il compito di vigilare sul rispetto della normativa e di applicare le relative sanzioni all’AGCM, la stessa autorità a cui spetta il controllo sull’osservanza della Legge Antitrust, la L. n.287 del 1990 a tutela di consumatori e imprese per garantire il corretto svolgimento del gioco concorrenziale.
Sono trascorsi poco più di 13 anni dalla introduzione nell’ordinamento italiano della suddetta normativa e nel frattempo si sta assistendo ai molti cambiamenti che stanno caratterizzando il panorama mass-mediatico e pubblicitario italiano. Lo sviluppo della tecnologia ha, infatti, favorito l’espansione di mezzi di comunicazione vecchi e nuovi: in primis, la rete Internet e le sue diverse declinazioni (e-mail, chat, newsletter, forum), poi la telefonia mobile (ed insieme ad essa sms, mms e videochiamate) e, da ultimo, l’incremento di canali televisivi per effetto della diffusione tra il pubblico della parabola satellitare e del cosiddetto «digitale terrestre». Per anni la pubblicità è stata legata esclusivamente ai media tradizionali. Tuttavia la comunicazione d'impresa è sempre stata alla ricerca di nuovi mezzi attraverso i quali diffondere i propri messaggi fra il pubblico dei potenziali consumatori, ed ha trovato, in questi ultimi anni, il favore di nuovi media che a loro volta l’hanno utilizzata come strumento legittimo di sostentamento. L'avvento di tali cambiamenti è stato, quindi, salutato con entusiasmo dagli operatori del settore. Nell’occupare gli spazi messi a disposizione dai vari mezzi di comunicazione, sia vecchi che nuovi, il “genere pubblicitario” si è adattato mutando anche in forme diverse dall’advertising classico e adeguando i propri contenuti al costume odierno, alla ricerca di target sempre più mirati. Per gli inserzionisti pubblicitari risulta, insomma, sempre più facile comunicare. Tuttavia tale progresso, sebbene abbia favorito la crescita della comunicazione di massa, di contro, ha anche accresciuto le probabilità di un uso illecito e dannoso della pubblicità.
Alla luce degli avvenuti cambiamenti ed in presenza della citata minaccia, è legittimo dunque, domandarsi se l’impianto normativo del D.lgs. n. 74/92, rimasto nella sostanza immutato nel corso di questi anni , possa essere ancora adeguato nel «combattere» la pubblicità ingannevole, ma soprattutto se gli strumenti di cui l’Autorità Antitrust dispone siano ancora sufficienti nell’individuare, esaminare e sanzionare gli eventuali illeciti.
Tale studio si propone, appunto, il compito di riflettere sul grado di efficacia dell’operato dell’AGCM, analizzandone i poteri istruttori, la tempistica dei procedimenti e la capacità deterrente delle sanzioni comminate, e mettendoli a confronto con le problematiche riscontrate durante la pluridecennale esperienza della stessa Autorità nella lotta contro la «cattiva» pubblicità e nella tutela del consumatore.

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AGCM: Limiti procedimentali e sanzionatori nella tutela dalla pubblicità ingannevole 3 INTRODUZIONE Nell’era della comunicazione interpersonale e mediatica, la pubblicità assume una sempre maggiore importanza in diversi settori: nel marketing aziendale per favorire la vendita dei prodotti, nella politica per accreditare l’immagine di partiti, candidati e coalizioni, nel sociale per richiedere adesioni a cause umanitarie. Nel solo 2004, in Italia, gli investimenti pubblicitari sui media tradizionali (tv, radio, stampa, affissioni e cinema) sono stati pari a 8.122,3 milioni di euro: oltre 22 milioni di euro al giorno. 1 Cifre che dimostrano come questa forma di comunicazione sia, pertanto, un fenomeno assai rilevante in termini economici. Per vendere un prodotto non basta realizzarlo, attribuirgli un prezzo e proporlo sul mercato. Le imprese si contendono la clientela non solo, e non sempre, attraverso offerte di qualità migliori o di prezzi più convenienti. Spesso tentano di costruire un’immagine caratterizzante del proprio prodotto, associandolo ad una «realtà» volutamente patinata e attraente, capace di distinguerlo, agli occhi del consumatore, rispetto a quelli offerti dai concorrenti. Entro un certo limite, non c’è niente di male. La pubblicità ha il diritto di sedurre. Tuttavia essa non deve indurre in inganno: questo è un principio imprescindibile per una sana e corretta concorrenza. Per assolvere in modo efficace la propria insostituibile funzione propulsiva sul mercato, la pubblicità deve anzitutto legittimarsi di fronte ai suoi destinatari, fornendo un'immagine di sé che susciti consenso e affidamento. Non c'è dubbio che gli eccessi di aggressività nei messaggi, le polemiche e le accuse di mendacio producono una lesione di questa immagine. Una «vittoria» strappata con mezzi di questo genere finisce col ritorcersi contro tutte le aziende perché scuote la fiducia del pubblico nel dialogo che esse cercano di instaurare, e mette in crisi gli stessi meccanismi psicologici di ricezione dei messaggi: insomma, l'agire corretto è anche il miglior investimento. Inoltre, la pubblicità ingannevole può causare concreti danni economici, in 1 Dati Nielsen Media Research “AdEx - Stima degli Investimenti pubblicitari netti - Genn.-Dic. 2004”

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