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La lingua dei diavoli nell'Inferno dantesco

La tesi consiste in un lavoro di ricerca sullo stile comico-realistico presente nella cantica infernale della Comedìa dantesca. E' una ricerca condotta tenendo conto del contesto storico-politico e culturale, dei modelli a cui Dante guarda nella composizione della sua opera e dell'intera produzione dantesca. Attraverso un'analisi del linguaggio utilizzato per dare voce ai diavoli infernali, di estrazione classica e medievale, si conferma la polisemia della Comedìa e il fascino della varietà dei suoi stili.

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VII INTRODUZIONE «La Comedìa si presenta non solo come un’enciclopedia del sapere, ma anche come un contenitore universale di tutte le lingue possibili; tutte vi sono rappresentate: la lingua che non esiste (il linguaggio di Nembrot “ch’a nullo è noto”: If XXXI 81), la lingua del futuro (i numerosi neologismi che Dante conia), le lingue come il provenzale con cui Dante fa parlare Arnaut Daniel o come il latino con cui si esprimono, ad esempio, Cacciaguida e Adriano V, la lingua del passato con gli arcaismi di origine dotta e letteraria (si pensi ai sicilianismi, provenzalismi, francesismi, latinismi largamente presenti nell’opera), la lingua del presente, quella letteraria nei suoi vari registri stilistici, da quello tragico a quello tenzonesco, quella parlata, presente in certe mimesi del linguaggio plebeo e dialettale e, infine, le lingue speciali, le lingue, cioè, dei vari domini del sapere, da quello della filosofia a quello della geometria, da quello della fisica a quello della medicina e dell’astronomia» 1 . Queste osservazioni di Roberto Mercuri racchiudono il presupposto da cui siamo partiti per sviluppare il seguente breve lavoro di ricerca. Gran parte del fascino che la Comedìa suscita consiste, infatti, proprio in questo suo essere summa, soprattutto linguistica, appunto, di tutti gli aspetti fondamentali 1 R. MERCURI, Comedìa, in Letteratura Italiana Einaudi. Le Opere, vol. 1, edizione in formato elettronico, a c. di A. Asor Rosa, Einaudi-Mondadori, Torino 2000, pp. 114-115.

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caronte
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