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Il ruolo della conoscenza nei processi di internazionalizzazione dei distretti industriali

I distretti industriali hanno rivestito un ruolo fondamentale nel panorama dell’economia italiana, confermando la irreversibile centralità della piccola e media impresa: agile, capace di partecipare alla competizione globale, ampiamente disponibile alla flessibilità produttiva, sensibile all’innovazione di processo e di prodotto, ma soprattutto in grado di realizzare una sostanziale integrazione tra le unità di produzione ed il sistema locale. Ed è in questa fusione tra impresa, uomini e territorio che risiede la vera ricchezza del distretto, che ha dimostrato di essere non semplicemente una forma organizzativa del processo produttivo di alcune categorie di beni, bensì un ambiente sociale in cui le relazioni tra gli uomini, dentro e fuori i luoghi di produzione, e le propensioni degli stessi verso il lavoro presentano un loro peculiare timbro e carattere. Il dinamismo dei distretti industriali, infatti, si alimenta di iniziative che tendono a ricostruire un ambiente a partire dalle peculiarità e dalle ricchezze di ciascun territorio e che combinano le dimensioni economiche con quelle sociali, la cura della crescita con quella della coesione, la sfera pubblica con quella privata, le tecnologie di comunicazione sofisticata con i saperi contestuali. Ciò implica da un lato, l’impegno a fertilizzare l’ambiente locale valorizzando il sistema di relazioni dell’area, dall’altro, a fare di questo sistema la piattaforma dalla quale ricercare maggiori aperture verso la dimensione sovra-locale, attivando sin dall’inizio quelle competenze relazionali che si presume possano favorire questo processo, senza “bloccarlo” sulle comuni appartenenze degli attori locali. Il distretto è cresciuto fino a diventare la punta avanzata di un vasto sistema produttivo (il made in Italy) da cui dipendono in modo determinante le performance dell’economia italiana estendendo ed intensificando i circuiti di divisione del lavoro, specializzando le proprie competenze, ma soprattutto ampliando le reti corte delle attuali filiere di fornitura (locali) fino a trasformarle in reti lunghe (europee o globali), investendo in ricerca e sperimentazione, e puntando sulla conoscenza, innervata e stratificata negli uomini e nel territorio.
L’obiettivo di questo lavoro è quello di mostrare l’importanza della qualità sociale e cognitiva dell’ambiente locale, di quella “atmosfera distrettuale”, così fortemente permeata di conoscenza che dà la possibilità ad ogni soggetto coinvolto nel processo di godere di un notevole vantaggio competitivo. E la trasformazione di questo sapere tacito - che viene dall’esperienza e che utilizza risorse disponibili in loco, come le tradizioni, la cultura, le relazioni basate sulla conoscenza personale e la fiducia reciproca - in sapere codificato ha permesso al distretto di uscire dallo spazio angusto del sistema locale e di radicare le reti di lungo raggio dell’economia globale senza far venir meno i vantaggi che derivano dalla comune impronta culturale e da un forte senso di appartenenza delle numerose piccole imprese facenti parte del distretto.

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Capitolo I Le origini dei distretti industriali italiani 1.1 Dal miracolo italiano al made in Italy Al termine della seconda guerra mondiale l’Italia, platealmente divisa in un Nord semimoderno ed in un Sud ancora immerso nelle brume del Medioevo, era caratterizzata da un altissimo grado di ruralità, dal ritardo (accentuato dall’isolamento bellico) del suo apparato industriale e da un modesto reddito pro-capite; dati obiettivi che ne denunciavano una marcata arretratezza e ne legittimavano la considerazione di paese ai margini dell’Occidente (Becattini, 2000). Eppure nonostante le previsioni, terminata con il 1949-50, la ricostruzione materiale dell’apparato produttivo, sistemate le questioni istituzionali, l’Italia ebbe una ripresa, che in tempi abbastanza recenti la portò al sesto o al settimo posto nel mondo per livelli di reddito, per importanza industriale e per peso nel commercio mondiale. Fu, in particolare, il periodo del dopoguerra, chiusosi col 1972-73, a segnare una espansione economica quasi ininterrotta, in tale arco temporale i ritmi di crescita delle principali grandezze economiche furono vertiginosi: l’industria, le esportazioni, gli investimenti crebbero del nove per cento annuo, aumentando la caratteristica industriale del sistema economico italiano ed aprendo sempre più il paese agli scambi con l’estero (Zamagni, 1990). Le spiegazioni di come una nazione così largamente agricola-artigianale, con limitate presenze autenticamente industriali, - concentrate per giunta in una piccola area, quella del cosiddetto “triangolo industriale”(Milano-Torino-Genova) - sia stata capace di tali prestazioni sono varie. In primis è possibile puntare l’attenzione sull’abbandono dell’offerta di lavoro a buon mercato. I milioni di disoccupati dell’immediato dopoguerra e l’immenso retroterra della disoccupazione agricola, premendo sul prezzo del lavoro subordinato hanno determinato la situazione di vantaggio competitivo delle nostre imprese manifatturiere, specie esportatrici. L’Italia è un buon esempio di uno sviluppo caratterizzato da una illimitata offerta di manodopera, nel quale i mutamenti di produttività sono stati assorbiti dai profitti più che dai salari (ciò a causa di una offerta 4

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Informazioni tesi

  Autore: Daniela Prisco
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2003-04
  Università: Seconda Università degli Studi di Napoli
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia Aziendale
  Relatore: Francesco Izzo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 142

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