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Introdotto il giuramento di fedeltà al regime dei professori
La "fascistizzazione" della scuola italiana comincia con un decreto-legge intitolato "Disposizioni sull'istruzione superiore". In particolare, l'articolo 18 del decreto prevede un giuramento di fedeltà al regime: «I professori di ruolo e i professori incaricati sono tenuti a prestare giuramento secondo la formula seguente: "Giuro di essere fedele al re, ai suoi reali successori, al regime fascista, di osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato, di esercitare l'ufficio di insegnante e adempiere tutti i doveri accademici. [...] Giuro che non appartengo né apparterrò ad associazioni o partiti, la cui attività non si concili coi doveri del mio ufficio"». Il governo mira in tal modo ad "imbrigliare" la libertà di pensiero e di coscienza di tutti i docenti, dispensando dal servizio quanti non si volessero allineare al nuovo corso fascista. Al giuramento, che ha avuto come principale promotore Giovanni Gentile, risponderanno "favorevolmente" circa milleduecento professori. Solo in dodici si rifiutavano di prestarlo: Ernesto Buonaiuti (Storia del cristianesimo), Mario Carrara (Antropologia criminale), Gaetano De Sanctis (Storia antica), Antonio De Viti de Marco (Scienze delle finanze), Piero Martinetti (Filosofia), Bartolo Nigrisoli (Chirurgia), Francesco Ruffini (Diritto ecclesiastico), Edoardo Ruffini-Avondo (Storia del diritto), Lionello Venturi (Storia dell'arte), Giorgio Errera (Chimica), Giorgio Levi della Vida (Lingue semitiche comparate), Vito Volterra (Fisica matematica).
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