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L'Italia dopo il 1918




Dopo il 1918 l’Italia deve affrontare una forte inflazione e i problemi di riorganizzazione produttiva.
Inoltre, si fanno strada due formazioni politiche, una appena nata e una da tempo parte del panorama politico italiano, che mostrano di possedere organizzazioni solide e ben strutturate.
La prima formazione è il Partito popolare italiano (Ppi), partito cattolico fondato nel 1919 e guidato da un sacerdote, don Luigi Sturzo (in polemica con la linea clerico-moderata allora dominante; diversamente da altri suoi compagni di partito, esprime un giudizio duramente critico nei confronti del fascismo e per questo nel 1924 è costretto ad abbandonare l’Italia). Al partito aderiscono sia i sostenitori della democrazia cristiana, cioè coloro i quali ritengono che il primo degli obiettivi che i cattolici devono realizzare sia una nuova politica sociale, sia i cattolici moderati, che si pongono in linea di continuità con l’esperienza del cattolicesimo intransigente prebellico e sono scarsamente sensibili alle tematiche relative al miglioramento delle condizioni dei lavoratori dell’industria o dei contadini piccoli proprietari o dei braccianti agricoli.
L’altra formazione dotata di un’ottima struttura è il Partito socialista italiano (Psi). Durante il loto XVI Congresso Nazionale nel 1919, furono stabiliti come obiettivi: la Rivoluzione sovietica; il ricorso alla violenza se è necessaria al conseguimento dei propri obiettivi; la demolizione dello Stato borghese, la realizzazione della dittatura del proletariato e la costruzione di un nuovo ordine comunista.
Questo programma fu chiamato massimalista, ma per il grado di lealtà che il Psi ha verso le istituzioni del Regno d’Italia, appare dubbio a quella parte dell’opinione pubblica che non condivide il programma.

Tratto da L'ETÀ CONTEMPORANEA di Gabriella Galbiati
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