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La critica selettiva: Hans-Ulrich Obrist

La critica selettiva: Hans-Ulrich Obrist


Siamo arrivati quindi al punto cruciale della critica selettiva. Infatti il problema incontrato da questa critica è proprio quello di dover fare i conti con il problema dell'ufficialità ma non con quello dell'istituzione. La critica selettiva una volta istituzionalizzata perde la sua natura destrutturata; perde, in altre parole, la sua concettualità creativa. Infatti ogni scelta dell'istituzione è per convenzione assolutamente scevra di contenuti creativi: una scelta è tale perché obbligata. Anche se l'istituzione sbagli nei suoi obiettivi le sue scelte sono e restano oggettive: un artistia che ne penetri lo spazio, infatti, è obbligatoriamente un artista, politicamente e culturalmente accettato, pertanto per il critico non vi sono scelte a rischio. La critica selettiva vuole situarsi prima che queste cose accadano, vuole essere curatrice di eventi soltanto collaterali all'interno di ciascuna istituzione. Proprio Migrateur di Hans-Ulrich Obrist, il quale arriva nel 1995 al MAM dopo aver lavorato come critico free-lance, è la semplificazione concreta di cosa sia stata la cura selettiva: una grande sintesi fra la teoria linguistica, traduttiva, ed elasticità organizzativa. Osservando ai trascorsi di questo critico, ed al plauso incondizionato che sue mostre, prima fra tutte quella presso un Hotel di Parigi, ci si chiede come abbiano poi inciso e condizionato fortemente l'attività critico curatoriale. La critica selettiva aveva dalla sua la nascita parigina nel lavoro di Jerôme Sans, vero capostipite dell'azione selettiva del curatore. Obrist ha assorbito e pragmatizzato l'azione selettiva di ambito parigino rieditandolo alla luce dell'esperienza maturata in città come Londra, Colonia, agganciandosi al contesto americano. Ed in primo luogo alla coppia Collins e Milazzo che nel frattempo, declinando in un flop la conquista dell'Europa, ritornavano in patria, e con loro la speranza di una riabilitazione della critica statunitense, da molti anni accusata in Europa di aver concesso troppo allo stile da fast-food.

Tratto da LA CURA CRITICA di Alessia Muliere
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